top of page

Pearlchild I - Cap1.1 "Scatola"

  • Immagine del redattore: mizar106
    mizar106
  • 27 dic 2022
  • Tempo di lettura: 13 min

Aggiornamento: 28 gen 2024


ree

Quand’era più piccola le dicevano che i sogni non sono altro che microscopici animaletti fatati che, come pesci, scorrono e s’agitano sott’acqua. Se così fosse però, acciuffarli sarebbe molto complicato, perché risulterebbero troppo agili e minuscoli e l’occhio umano farebbe una fatica matta ad inseguirli. Forse doveva solo armarsi di pazienza, immergere le dita e attendere il momento più opportuno con la mano aperta.

Era però un pomeriggio caldo e umido e l’idea di rimanere a zonzo per la campagna dopotutto, non le andava a genio. Lentamente, Rachel Bhelmet avvicinò una mano al viso e con stizza si strofinò una guancia. Piegò in avanti il gomito e con la punta dell’indice sul pollice scacciò via un insetto.

Pluff! Un fremito improvviso le provocò un sussulto e la costrinse a sollevare gli occhi. Tra i ciuffi di tifa in mezzo all’acqua, un rospo aveva appena compiuto il grande balzo, senza lasciare traccia.

Cercando di non forzar troppo le ginocchia, Rachel si chinò in avanti e vi sbirciò attraverso. Quindi sollevò lo sguardo. Vide tutt’ un tratto uno strano stuzzichino colorato zigzagare in aria. Una damigella blu cobalto danzava senza sosta agitandosi confusamente a pelo d’acqua, davanti ai suoi occhi. Lei la fissò nella speranza di veder frenare la sua corsa su una fogliolina, ma più la inseguiva con lo sguardo e più la sensazione che quella creatura la stesse ingannando si faceva intensa.

Che vita buffa, pensò. Perfettamente libere di muoversi e volare senza mai fermarsi. Di colpo a quel pensiero, tutte le minuscole vite dello stagno le parvero come forme lontane e astratte, come se stessero svanendo o per uno strano scherzo del destino non fossero mai esistite. In ogni caso, lei, con quelle piccole esistenze senza scopo non c’entrava nulla, perché non si sentiva affatto libera e il suo destino lo conosceva bene.

Con aria stanca, si voltò verso il pascolo assolato che s’estendeva come un manto smeraldino per parecchi metri, poi, con un leggero movimento della mano si coprì la faccia; un raggio di sole un po’ ostinato le filtrava dal cappello proiettandole una macchia incandescente sulla fronte tonda. Rachel si riparò la vista e con uno sbuffo risistemò il cappello. Una vaga sensazione di disagio prese a ronzarle in testa:

Ah, mia cara estate... pensò, sarai anche bella e colorata però, a restare fermi sotto il sole così a lungo, ci si stanca troppo...

Tutt’un tratto, tirò un sospiro poi, gridando con tutta la forza che poteva liberò i polmoni:

“Lizzie! Ma insomma, ti muovi o no!?”.

Che amica inaffidabile! Commentò tra sé. Eppure le aveva promesso che sarebbe ritornata subito. La solita raffica di promesse sparate al vento. Come se non bastasse, quel giorno Lizzie s’era presentata all’appuntamento senza il suo gatto e perciò qualunque scusa avesse usato con Pasticcio era fuori luogo.

Da un po’ di tempo, Lizzie aveva iniziato a sostenere che il gatto si stesse comportando in modo nervoso e buffo, perché era capace di scomparire per delle ore e poi spuntare nuovamente sulla porta, lamentandosi con la sua inseparabile padrona, ogni volta che lei usciva dalla stanza senza dire nulla. E dopo alcune riflessioni, aveva anche iniziato a sospettare che la causa di quello strano atteggiamento fosse legato a un fosso, un canale situato tra il maneggio e il campo di girasoli di Greyshire sopra la collinetta. A Rachel aveva raccontato di averlo scoperto casualmente, il pomeriggio che era uscita a verificare quelle voci sugli esemplari di coccinella rossa e bianca avvistati a Maggio.

Quello stesso giorno però, senza neanche accorgersene, Pasticcio s’era messo ad inseguirla, e a un certo punto aveva persino iniziato a piangere e a miagolare come un matto e lei, non sapendo cosa lo tormentasse, era tornata indietro e per non perderlo di vista, aveva costeggiato il fosso. Ma poi il gatto ci si era fiondato dentro e  Lizzie disperata, era corsa a prenderlo, ma a causa dell’acqua troppo alta s’era bloccata a metà strada e alla fine non era scesa. In compenso però, aveva tribolato come una matta con il suo amico per convincerlo a tornare indietro.

Adesso però Pasticcio era rimasto a casa e Lizzie poteva ritenersi libera. Seppur con qualche intoppo, era riuscita a sbarazzarsene agilmente, rinchiudendolo in soffitta dopo averlo distratto con gli avanzi di suo nonno legati a una cordicella. Nonostante questo però, la curiosaggine l’aveva convinta a ritornare al fosso. Se non altro, avrebbe potuto sbirciare in santa pace e senza nessun fastidio.

Rachel, che al di là del proprio handicap era cauta e riflessiva e non amava le iniziative in solitaria, s’era offerta di accompagnarla e tenerla d’occhio affinché non si cacciasse in qualche guaio come il suo gatto. Questa volta però, la sua vicina s’era ribellata e non le aveva dato retta. Anzi, le aveva spiegato che per raggiungere il fossato, il sentiero era brutto e stretto e Rachel, che non amava i tratti scomodi, si sarebbe stancata subito. Così, sforzandosi di crederle, s’era accovacciata ad aspettarla dallo stagno ed era rimasta lì.

Adesso guardò di nuovo in mezzo l’acqua e vide su una foglia un panciuto rospetto rosso che la fissava. Gli occhi globosi e lucidi, la bocca immobile.

Che c’è caro rospetto, vuoi aiutarmi? Pensò lei, abbandonandosi a un sorriso malinconico mentre lo guardava. 

Davvero saresti così gentile da riaccompagnarmi a casa?

D’un tratto, il flebile ronzio di un aereoplano prese a sfilare tra le nuvole per poi svanire. Poi una carezza d’aria tiepida le scivolò sul viso, e con dolcezza, le levò il cappello. Dai piedi della collinetta, filtrava da qualche istante alle sue orecchie un noioso fischio. Guardò di nuovo verso il pascolo, fino a scrutare la sagoma di Lizzie lungo una salita erbosa. Lei la stava avvisando di qualcosa adesso, ma era ancora troppo distante e per colpa del vento che soffiava non sentiva bene:

 “Ti prego, sbrigati!” protestò. Attese qualche istante e appena vide che avanzava, fece un lungo respiro e con stanchezza abbassò lo sguardo. Quindi dopo un paio di minuti sollevò la testa. Tirò un sospiro di sollievo ed afferrò il cappello, quindi allungò le gambe, strisciando i polpacci contro l’erba per il sudore. Un istante più tardi, la sua amica era di nuovo lì:

“Allora, si può sapere cos’hai visto?” domandò Rachel impaziente.  “Non ce la faccio più.”

L’altra le si avvicinò abbacchiata, riprendendo fiato:

“Rachy mi dispiace ma... non l’ho fatto apposta...”.

Rachel mugugnò qualcosa e serrò le labbra. Quindi Lizzie contrariata, incrociò le braccia:

 “Lo sai che è tutta colpa di Pasticcio...” cominciò amara “Se non si fosse insospettito l’altro giorno, io...”.

Rachel la fissò confusamente e poi un fragile sorriso di perdono prese ad illuminarle il volto:

“Anche qui non era male, in realtà. Ci sono un sacco di animaletti interessanti, sai?” disse dondolando noiosamente il piede contro un sasso mentre sospirava. Poi Lizzie provò a difendersi:

“A volte Pasticcio è così insistente che non mi lascia scelta...”

“Allora, di che si tratta?” domandò Rachel.

Un’espressione di delusione colse all’improvviso Elizabeth:

 “Ah! Solo un po’ di pesce andato a male e basta...”. Disse stropicciandosi la veste con disgusto per pulir la mano. “Era chiuso in un sacchetto plasticoso dentro il canale... così, ho provato a recuperarlo in qualche modo ma mi ci è voluto tempo”.

Rachel si stropicciò una palpebra e nello stesso istante un lamentoso suono senza senso le uscì di bocca, quindi domandò:

“Ma non dicevi che Pasticcio è un gatto strano perché a differenza dei suoi simili non dorme e non ama il pesce?”.

“Beh, per quanto strambo e paranoico, è pur sempre un gatto...” disse Elizabeth sbattendo una mano sulla veste per scacciare i forasacchi che le si erano appiccicati addosso. Poi Rachel iniziò a incalzarla:

“Dai, torniamo a casa”.

L’altra l’afferrò e la tirò su finché Rachel non si aiutò con la stampella per restare in piedi. Quindi disse:

“Rachy te l’assicuro... non pensavo ci avrei messo così tanto, scusami”.

 “Ok, ma non ho più voglia di star fuori ed aspettare, fa troppo caldo”.

“Ma non è che non stai bene?”

“Certo che sto bene, che cosa credi?”

Lizzie la fissò e con aria innocente sollevò le spalle:

“Non so... magari...”

“Magari...?”. Camminavano ora a rilento, parlottando e punzecchiandosi a vicenda lungo il sentiero che dal pascolo assolato conduceva a casa. Poi il tono di Elizabeth si fece più incalzante:

“Magari non vuoi dirmelo”.

“Lo sai che non è vero!”

Le guance di Lizzie assunsero l’aspetto di due mele rosse:

“Non vuoi dirmelo perché ti sei scocciata di aspettarmi!”

“Questa è proprio buona!”

“Ma se ti ho anche chiesto scusa, cos’altro vuoi che faccia?”

“Guarda che non me la fossi sentita di venire te l’avrei detto!” .

Da qualche secondo però, Lizzie s’era come bloccata e si stava controllando i piedi:

“Oh... Aspetta!” esclamò.

“Cosa?”.

Con uno scatto nervoso, Lizzie sollevò la scarpa e la scalzò velocemente dal tallone sfilando il piede:

 “Oh! Ho un ragnetto nella scarpa, guarda!” disse tutta preoccupata “Che fai li impalata, aiutami!”.

Rachel indietreggiò, fissando divertita la sua amica che si dibatteva.

“Con le mani faresti molto prima...” ridacchiò “Magari è già scappato e non te ne sei accorta.”.

Lizzie la guardò confusa e si chinò raccogliendo il sandalo con la stessa espressione di disgusto di chi afferra un verme.

“Hai ragione” disse con voce ancora colma d’agitazione. “Qui dentro non lo vedo... magari s’è impaurito ed è fuggito via”.

Rachel la fissò e un secondo dopo un tenero sorriso innocente le piegò le guance. Sapeva che poteva starsene tranquilla adesso. Dopotutto, finché Lizzie era con lei la sua testa era più leggera.

Malgrado tutte le lagne e battibecchi infatti, le sue goffe sceneggiate isteriche la divertivano e sovente le facevano passare il broncio. A dire il vero, ne aveva già viste e sentite così tante che a un certo punto aveva persino pensato di prender nota e dedicarle un libro, ma ora che si vedevano ogni giorno, la lista delle cose buffe che le capitavano s’era fatta lunga e lei non sapeva da che parte avrebbe iniziato a scrivere.

Tra le cose che la contraddistinguevano maggiormente, la tendenza a tramutare ogni questione (persino la più banale), distorcendola in un mondo pieno zeppo di problemi e perennemente in bilico. A causa di ciò, Rachel era convinta che molte delle cose che Lizzie le raccontava fossero ridicole e perlopiù inventate.

Tra le storie di Lizzie più curiose quella della maledizione del pollame era stata senza alcun dubbio la più avvincente.

Quella volta Lizzie, aveva notato un vecchio libro impolverato, sul finire di una mattinata un po’ noiosa, sbirciando di nascosto nel ripostiglio della biblioteca di paese, dopo che il custode s’era allontanato dal bancone per recarsi in bagno. Aveva poi spiegato che il documento, in realtà, era un saggio sull’evoluzione del rapporto tra uomo e volatile domestico degli ultimi duecento anni, e che si era anche spaventata per aver letto che le uova molto scure sono figlie del dio-diavolo e pertanto portano sulla cattiva strada. Così quel pomeriggio Lizzie s’era fiondata nel pollaio e tutta preoccupata aveva iniziato a setacciare la lettiera per verificare che le uova fossero rosa e di dimensioni uguali. Ma poi avendone trovate di più scure s’era subito precipitata in casa, frignando e strillando come un’ossessa per convincere suo padre ad assoldare un baldo e giovane esorcista per le sue galline. Così i suoi s’erano precipitati nel pollaio, e trovandolo in subbuglio s’erano arrabbiati così tanto che per punizione le fu proibito di giocare coi suoi gatti per quasi un mese.

A Nuvola e Pasticcio era legata da uno strano rapporto madre-figlio non privo di opportunismi: qualunque cosa le accadesse, brutta o bella che fosse, veniva puntualmente rielaborata e condita di così tanti aspetti da rendere Pasticcio il vero ed unico colpevole dei suoi misfatti. Lizzie sosteneva di averlo scelto perché quel giorno al gattile le era apparso l’esemplare più vivace e aveva il pelo così giallo da ricordarle sovente una spremuta ogni volta che vi si avvicinava per toccarlo e tenerlo in braccio. Rachel invece, era sempre più convinta del contrario dal momento che riteneva che i gatti fossero troppo scaltri e intelligenti per fidarsi di qualsiasi essere umano gli capitasse a tiro.

 

Raggiunsero il mulino in mezzo al campo e al di là di questo, l’appezzamento che il Sig. Dely, il loro vicino, aveva deciso di proteggere da tempo con una grande siepe:

“Lizzie, tu... hai mai capito perché il Sig. Dely ha quella siepe?”. L’altra la guardò con aria sospetta, stringendo gli occhi:

“Già, l’ha messa in piedi all’improvviso e in tutta fretta e per di più, senza dirci niente. Non ti sembra strano?”

Rachel mugolò con aria assorta, Lizzie proseguì:

“Ne avevo parlato con mio padre, tempo fa... però, ogni volta che gli ho fatto delle domande non mi ha mai risposto, è davvero strano...”

“Che tipo misterioso, il Sig. Dely!”

“Mamma però una volta è riuscita a parlare con la moglie. Lei dice che l’ha fatto perché non vuole che la gente ci si fermi per sbirciarci dentro”

“Pare abbia a che fare con quel furto, ricordi? Quello della scorsa estate... però a me, la storia di quei ladri di lenticchie non convince affatto. Vedrai che se lo sarà inventato. ”.

 “Mah, chissà se è vero...”.

“E se controllassimo?”

Rachel ebbe un sussulto e sgranò gli occhi:

“Eh? Ma che cosa dici?!”.

“Sarei curiosa di sapere che nasconde...” sogghignò Elizabeth. “Questa storia è così losca che anche se indagassimo per mesi non servirebbe a niente. Probabilmente, è qualcosa d’illegale”.

 “Avanti dimmi che stai scherzando...”.

“Beh tentar non costa niente, no?” proseguì Elizabeth quasi con leggerezza.

“Ad esempio, potrei provare a intrufolarmi di nascosto mentre fai la guardia. Bisogna essere per forza in due persone per una cosa simile, e inoltre...”.

Rachel le lanciò un’occhiataccia e aggrottò la fronte:

“Te lo puoi scordare!” Lo sai che potresti mettere nei guai i tuoi genitori per una cosa simile?”.

Elizabeth la guardò senza scomporsi, quindi disse:

“Da quel che mi ricordo, lui e sua moglie vanno sempre a letto presto, perciò, credo che se ci provassimo di sera manco se ne accorgerebbero”.

Rachel tirò un sospiro e osservò la siepe. Per quanto considerasse Lizzie una pasticciona, la sua sfrontata testardaggine le tirava su il morale e la faceva sentire bene. Però quella stessa ostinazione talvolta superava il limite.

Rachel si voltò verso l’amica e per un momento non disse niente. Un attimo più tardi, il suo sguardo innocente di fanciulla non fu più lo stesso:

“Lizzie ascolta... per quella cosa...” mugugnò “Ti prego, lascia perdere. Magari ne riparliamo un’altra volta, ok?”.

Lizzie annuì, nascose le mani sulla schiena e chinò la testa:

“D’accordo, non preoccuparti” mormorò “Possiamo anche rimandare a un’altra volta se vuoi, tanto non cambia niente...”.

“Mi dispiace”.

Poi Elizabeth ebbe un’esitazione e disse:

“Rachy... in realtà volevo dirtelo anche prima”.

 “Che cosa?”.

“N-no niente...” cominciò, strofinando la scarpetta contro l’erba con la testa china. “E’ solo che.... sai... ultimamente ripensandoci, mi sembri parecchio strana. Me ne sono accorta quando sono venuta l’altra sera, prima che tu andassi letto. E anche il giorno prima a dire il vero. Persino in questo momento, in realtà... ad essere sincera, credo sia praticamente uguale. Sicura di sentirti bene?”

Rachel sollevò la stampella e svogliatamente la risistemò sul braccio:

“Boh, credo di si...” disse pacatamente. “E comunque... non mi sento strana. Non è che ti confondi con qualcun altro?”

Elizabeth la fissò smarrita:

“Ti hanno chiamato in quell’ospedale un’altra volta, vero?”

Rachel tentennò per un momento, quindi proseguì:

“Beh ecco... zia Wendy... ha parlato coi dottori. Vogliono che torni là domani. Pare che si tratti di un nuovo esame.”.

Lizzie ebbe un sussulto e deglutì:

“Di già?” commentò sorpresa. “Ma quindi, cos’è che fa? E dove? Ma almeno... ti hanno detto se ti faran del male?”

“Non saprei...” disse quasi con disinteresse. “Con Zia Wendy in realtà non ne ho parlato. Non è che ci tenga molto, a dire il vero”.

“Beh, penso che dovresti” disse Elizabeth. “Sono anni che continuano a torturarti con quegli esami, otretutto senza ricavarci niente. Mi chiedo come tu faccia a sopportarli... al tuo posto sarei impazzita”.

Rachel si concentrò sulla stampella strofinandone la punta avanti e indietro come per lasciare un segno:

“Sai... qualche volta me lo sono chiesta anch’io”.

Lizzie la fissò e Rachel trasse un lungo respiro silenzioso come se le mancasse il fiato. Una luce carica di risentimento le riempiva gli occhi:

“Zia dice che cambiare il nostro ospedale con un altro non servirebbe a niente. Il St. Laurent invece, è convinta sia il più adatto perché i medici mi conoscono da tempo e sono parecchio in gamba.”

“See...” bofonchiò Elizabeth. “Con quel poco che combinano, meriterebbero di andarsene in prigione e basta!”.

L’altra si voltò verso di lei senza dire niente. Poi un malinconico sorriso le comparve in volto.

“Ti hanno almeno spiegato di che si tratta?”.

“Mah... da quel che han detto, dovranno farmi alcune piccole punture e mettermi in una grossa macchina...”.

“Sei preoccupata?”.

“Non molto a dire il vero. Però... se riuscissi un po’ a distrarmi come oggi, alla fine, penso che non mi peserebbe affatto. In ogni caso...”

“Cosa?”.

“Dovrò restare in ospedale un po’ di giorni. Tre o anche di più probabilmente. Almeno, così ci han detto.”

Lizzie abbassò gli occhi e guardò a terra, strofinando il tacco.

“Mm, ok...”

“Sai, stavo pensando...”. Il tono della voce di Rachel rirpese forza. “Che ne dici se quando torno andiamo al fiume? E’ da un po’ che non ci torniamo, vero? Sai, dopo tutto questo tempo sempre ferma, ne avrei proprio voglia.”

Lizzie abbozzò un sorriso. Gli occhi umidi e brillanti, le labbra smosse. La ragazzina singhiozzò timidamente, quindi si gettò su Rachel per abbracciarla, il suono irregolare della voce ridotto a un sibilo:

“Scusa per quello che ho detto prima!”

“Eh?”

“Io... non pensavo di volerlo veramente... d’intrufolarmi di nascosto dal Sig. Dely, intendo. E comunque, sappi che finché non sarai a casa non farò più niente!”.

 “Ehi, ok... non preoccuparti”. La rassicurò Rachel, avvolgendola timidamente con il braccio per rincuorarla.

L’altra la fissò perplessa e disse:

“Però... promettimi che non andrai più in quell’ospedale, giuralo!”.

“E come?” protestò Rachel. “Non so quando finirà... e poi, finché non avrò finito con quegli esami, il Dott. Simmons non potrà dirci niente.”

Lizzie emise un mugugno e provò a sorridere:

“Verrò a trovarti quando torni. E poi a proposito... tuo fratello e il Sig. Rossmann, in questi mesi... sarei curiosa di sapere che ne pensano. Sul serio non ti hanno mai detto niente?”.

Sopra di loro, una nuvola dalle venature color panna transitava pigramente ad alta quota imbrigliando il sole.

“Beh, i miei zii di quei medici si fidano, per quello che zia Wendy continua a portarmi lì anche se non ne ho mai voglia...”.

Lizzie le restituì una smorfia e si grattò in fronte:

 “Hai proprio la pazienza di un leone tu...” sospirò, quasi rassegnata.

Rachel fece un’espressione sconsolata e di colpo disse:

“Mio fratello invece... la pensa proprio come te e non fa altro che ripetermi che i medici non sono affatto bravi. A quanto pare, quella specie di ospedale in cui mi portano non lo convince affatto.”

“Hai visto, che cosa t’avevo detto?!” s’agitò Elizabeth. Rachel proseguì:

“Comunque sia... non capisco cosa c’entrino i leoni con il fatto di essere pazienti o meno. E’ una frase che non ho mai sentito. Non è che te la sei inventata?”.

Le labbra di Lizzie si piegarono in un sorriso astuto:

“Beh, non so se lo sapevi ma i leoni oltre a essere feroci hanno una gran pazienza. L’ho letto in un libro che Mrs. Bancott teneva nella sua borsa”.

“Che?! Lo hai fatto ancora!?” esclamò Rachel sorpresa. “Finirai per farti sospendere sul serio se non la smetti...”

“Vuoi scherzare?” sogghignò Elizabeth. “Non hai idea di quanto sia rintronata quella donna. E’ troppo buffa!”.

“Aah... e io che pensavo fosse solo una tipa noiosa e basta...”

“Avessi visto che razza di faccia ha fatto, quando se n’è accorta... sembrava una scimmia isterica, ti giuro, era troppo forte...”

Si guardarono negli occhi e in un attimo le loro voci s’infransero all’unisono in una risata.

“Quando torni, voglio mostrarti un libro.” confessò Lizzie con entusiasmo. “Sai, tra quelli che le ho trovato nella borsa c’è n’è uno su alcune storie un po’ bizzarre che è un vero spasso.”.

Rachel annuì. Poi un colpo di tosse improvviso le spezzò il fiato.

“Vuoi che ti accompagni fino a casa?”.

“Ormai siamo arrivate...” la tranquillizzò Rachel. “Posso anche far da sola da qui in poi, non preoccuparti...”.

“Va bene, ma... ricordati, per via quella visita... devi darmi retta.” La incalzò Elizabeth. “Si insomma, non devi fare tutto quello che ti chiedono, non sei obbligata... ”.

Rachel abbozzò un sorriso. Tutt’un tratto una sensazione di fiducia prese a riscaldarle il petto. Si strinse con più forza alla sua mano e e in silenzio tolse via le dita.

Alcuni secondi più tardi erano già distanti.

“Chiamo domani per sapere quando torni. Tu intanto fatti coraggio e cerca di tenere duro, ok?”. Poi Lizzie salutò la sua vicina agitando il braccio. La sua voce scoppiettava a risuonando come un’eco sopra la campagna. Rachel le urlò qualcosa per rassicurarla e in un minuto fu di nuovo a casa.

Post recenti

Mostra tutti
Pearlchild I - Cap 4.2 "Labirinto"

Per qualche istante, vi si fermarono davanti discutendo del cartello e della (misteriosa) illeggibile parola riportata sopra. Quindi fu...

 
 
 
Pearlchild I - Cap 4.1 "Labirinto"

A Bauberville, lungo la polverosa stradina per Saint Clement, una chiassosa camionetta di almeno una quindicina d’anni procedeva...

 
 
 

Commenti


Sottoscrivi

Thanks for submitting!

© 2023 by The Book Lover. Proudly created with Wix.com

  • Facebook
  • Twitter
bottom of page