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Pearlchild I - Cap 5.1 "Non guardare e scappa!"

  • Immagine del redattore: mizar106
    mizar106
  • 21 apr 2024
  • Tempo di lettura: 11 min

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(Nel disegno: Una terribile sorpresa coglie alla sprovvista Rachel Bhelmet e la sua amica Elizabeth nel corso della loro disavventura dentro la foresta. Copic markers, Maggio 2018)



Ritrovò la sua compagnia alcuni minuti dopo, rannicchiata dall’altra parte della gola, lungo una pendenza erbosa. Aveva il viso sconvolto, un lungo graffio su una gamba e gli occhi stanchi e angosciati, come se avesse pianto.

“Lizzie! Ma cosa...” gridò Rachel, guardandola smarrita salvo poi interrompersi.

“Rachy, mi dispiace... mi dispiace davvero tanto, io...”. La voce di Lizzie pareva sciogliersi in di colpo in un lamento, perdendo forza.

“Diamine! Mi hai spaventata... ma che ci fai li? È pericoloso!”

“Si ma... Pasticcio, poverino...” proseguì lei, singhiozzando tra una parola e l’altra mentre rispondeva.

“Lui è là sotto e... è scivolato tutt’un tratto giù da un masso e non riesce a uscire...”. Rachel strabuzzò gli occhi:

“Che... sul serio?!”

 “Ho già provato ad allungarmi per riprenderlo, però... sigh, è caduto troppo in basso e non so che fare... io....accidenti Rachy, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!”

Rachel ebbe un sussulto ed avanzò, intenta ad esplorare la parete sotto i suoi occhi.

Rannicchiato su un piccolo sperone, alcuni metri più in basso, il povero Pasticcio fissava la sommità dell’apertura con occhi imploranti. Più in là, alla sua sinistra, le sommità delle pareti s’incontravano nel vuoto formando in un attraversamento molto stretto tra una sponda e l’altra.

“Aspetta lì, provo a raggiungerti!” le ordinò, avanzando a gattoni sopra l’erba per non cadere.

“No, devi rimanere lì...” l’ammonì Elizabeth. “Il ponte è troppo stretto e rischieresti di cadere sotto...”

Rachel indugiò sbirciando indietro e infine si mise a studiare il ponte. All’improvviso provò un brivido. Il cuore le rimbombava dentro il petto, come un martello. Fece un lungo respiro. Quindi studiò il percorso della gola alla ricerca di un passaggio più sicuro su cui passare, ma da qualunque parte osservasse, non vedeva che una serie ininterrotta di insenature e ombre, le quali, ergendosi dal fondo, dipingevano la roccia di un brunastro tendente al nero.

“E se provassimo a gridare?” appuntò Rachel, dubbiosa. “Forse qualcuno potrà sentirci...”

L’altra scosse la testa sconsolata, sospirando appena:

“Ci ho provato, ma non basta...” toccandosi sul viso con le dita per l’agitazione. Poi la sua voce si smorzò e un lamento soffocato, quasi sofferto, le uscì di bocca:

“Rachy... che disastro, mi dispiace...”. Alcune lacrime avevano iniziato a bagnarle il mento. Rachel sentì un tuffo al cuore e provò a calmarla:

“Dai aspetta... devi star tranquilla, ok? Dobbiamo solo pensar bene come fare e poi...”. In quell’istante, avrebbe voluto proseguire e rincuorarla, ma non trovava più altre frasi a cui appoggiarsi e in preda allo spavento s’interruppe e non aggiunse altro.

Studiò di nuovo l’altra sponda, e vide che alcuni metri sotto Lizzie c’era una sporgenza. Un’estroflessione irregolare del terreno che dalla cima, degradava rapidamente verso il punto in cui era scivolato il gatto; un dislivello impegnativo ma comunque raggiungibile da un ramo o con un bastone lungo. A metà della sporgenza tuttavia, la roccia era più ripida e insicura, e non forniva alcun appoggio necessario per tornare in cima. Rachel provò un brivido e in un attimo, e si concentrò sul povero gatto intrappolato lungo la scarpata. Se ne stava tutto piegato su una pietra, con le zampe ben inclinate sull’appoggio, con gli occhi attenti. Poi la ragazzina disse:

“Lizzie ascolta, devi aiutarmi... per passar dall’altra parte, intendo. Forse c’è un modo per raggiungere Pasticcio e aiutarlo a uscire. Però... temo che una persona sola non basti, bisogna che proviamo assieme”.

Lizzie si morse il labbro contraendo i muscoli della bocca con insofferenza:

“D’accordo, ma stai attenta...” disse ritirandosi dal bordo in tutta fretta, scattando in piedi.

“Devi cercare di stare bassa il più possibile, mentre ti raggiungo, ok?”.

Rachel annuì poi, nel tentare di scacciar l’agitazione, riprese fiato. Mentre si avvicinava però, avvertì ciascuna fibra del suo corpo come fosse in fiamme, e lei dovette muoversi a intervalli, interrompendosi ogni volta a denti stretti, per lasciare che il dolore si allentasse prima di passare oltre.

“Rachy ma... la tua stampella? Cos’è successo?” chiese Lizzie spostandosi sul ciglio della gola con preoccupazione.

Rachel la guardò per un momento, le ginocchia rovinate e il volto ansante, visibilmente scosso:

“Te lo spiego dopo, sbrigati!” esclamò, quasi con insofferenza.

Poi Elizabeth avanzò e Rachel sbirciò col cuore ancora gonfio di spavento dentro il precipizio. Era profondo all’incirca venti metri, ma sul fondo c’erano così tanti buchi e anfratti che non si capiva fin dove si scendeva una volta dentro.

Fece un lungo respiro e, lentamente, chinò la testa procedendo a gattoni e tutta dritta, attraverso il ponte.

Per un istante, ebbe la sensazione di sbandare, e precipitare afflosciandosi nel vuoto con gli alberi e i cespugli tutt’attorno che svanivan via, ma poi in quella visione, le percezioni che avvertiva si ricomposero come piccole gocce di coscienza in una nuova forma; l’immagine del braccio di Lizzie che la teneva stretta. Poi uno strattone la scaraventò in avanti e la trascinò per terra:

“Rachy... Rachy! Tutto ok? Non ti sei fatta male, vero?” s’agitò Elizabeth, scuotendole di colpo le spalle, come per svegliarla. “Ti prego dimmi che non ti sei fatta niente...”

Lei si raddrizzò e prese a guardarsi intorno. Con aria incredula, lanciò un’occhiata a Lizzie e la bloccò sul braccio. L’altra le restituì un sorriso e disse:

“Sei stata grande, davvero. In realtà... non volevo che passassi sul quel ponte, sul serio, secondo me non avresti dovuto e... oh, è tutta colpa mia, scusami!”.

“Dai, è tutto ok, non preoccuparti” la tranquillizzò Rachel con delicatezza. “Anche se... ti confesso che, per un attimo, ho temuto il peggio. Dai, sollevami, dobbiamo aiutare Pasticcio a salir su, rischierà di scivolare ancor più in basso se non sta fermo.”

“Si ma... come facciamo?” chiese Elizabeth, spazzolandosi il vestito dalla polvere che le era addosso. Rachel la fissò perplessa e disse:

“Beh, ecco... in realtà una soluzione ci sarebbe. Però ti avverto, potrebbe essere un tantino complicata ma non è impossibile”.

"Che cos’è?” chiese Elizabeth perplessa.

Rachel proseguì:

“Quella piccola sporgenza giù dal ciglio, nel punto in cui eri seduta prima, hai presente? Beh... temo che dovresti salirci sopra”. Con un cenno, le indicò un tratto ripido e incrinato nel punto in cui Lizzie s’era sistemata.

“Sai, stavo pensando che da lì... se riuscissi ad allungarti con un ramo, con un po’ di fortuna forse Pasticcio potrebbe farcela...”

“Uh, non saprei dirti...” disse Lizzie strofinandosi le guance ancora umide con riluttanza.

“Però... il punto di cui parli è molto in basso e poi, hai visto quant’è stretto? Rischierei di scivolare e farmi male, è un gran casino...”

“Non accadrà se siamo in due, fidati”.

Lizzie la guardò senza dir nulla e infine abbassò lo sguardo, gli occhietti proiettati nel burrone perfettamente immobili.

“Ti terrò stretta più che posso, tranquilla. Tu nel frattempo però, dovresti cercare di allungarti il più possibile e abbassare il ramo, così, non appena Pasticcio ci si aggrappa, solleverai il bastone e lo aiuterai a salire.”

Lizzie la fissò scoraggiata ma non disse niente. Gli occhi lucidi, le labbra tremanti. Rachel proseguì:

“Perdonami ma è davvero l’unica cosa che possiamo fare”.

Lizzie la aiutò a rialzarsi:

“Eh... di te posso fidarmi, vero?” disse afferrandola di colpo per un braccio per tenerla dritta.

“Devi, se no m’arrabbio”.

Lei la ricambiò con un sorriso poi, con aria sorpresa chiese:

“Rachy ma allora... la tua stampella...”

“Beh, l’ho dovuta lasciare sopra un masso dopo che sono scesa. Però, che strano posto, accidenti... a un certo punto i sassi eran così fitti che ho dovuto per forza farne senza altrimenti non ti avrei mai raggiunta”.

Un’espressione di fiducia scosse Elizabeth:

“La ritroveremo”.

Rachel annuì e le indicò di nuovo lo spazio erboso su cui Lizzie s’era accovacciata:

“Ecco, guarda lì...” disse con accortezza. Poi un’improvvisa agitazione la obbligò a fermarsi. Quando riprese, la sua voce non era più la stessa:

“Oh, a dire il vero, non ne sono così certa ma... occorrerà fare attenzione e non distrarsi, dopotutto non... Lizzie, ma mi stai ascoltando?”

Si girò verso l’amica, cogliendone questa volta il dispiacere, il tormento di averla condotta in quella zona così rischiosa.

“Allora... facciamo come dici tu.” mormorò Lizzie, distogliendo l’attenzione dalla gola con occhi vigili.

Lizzie aiutò Rachel a sorreggersi, lasciando che si accovacciasse lungo il ciglio, col gradino che protrudeva ben visibile appena sotto. Rachel nel piegarsi emise un gemito. Di nuovo, sentiva le sue ginocchia lamentarsi e divampare in un terribile bruciore come ceppi in fiamme. Allora lei, per tentare di scacciarlo, strinse forte i denti e serrò le labbra. Quando il dolore si calmò, sentì Pasticcio lamentarsi in un susseguirsi di suoni gutturali sempre più insistenti. Sbirciò di nuovo in basso e sfregandosi per il prurito alle ginocchia  ritirò le gambe. Non appena si voltò, vide Elizabeth accovacciata alle sue spalle con un ramo in mano:

“Rachy che ne pensi... secondo te andrà bene?” chiese, studiando il pezzo di legno tra le mani come una scultura.

Rachel piegò le labbra sorridendo appena:

“Potrebbe andare ma... sicura di sorreggerlo? Sembra un po’ pesante.”

L’altra le lanciò un’occhiata, quindi capovolse il ramo e lo picchiò ripetutamente al suolo come per testarlo.

“Credo di si...” disse quasi con insofferenza.

“Allora dobbiamo fare un tentativo. Dammi la mano, forza...”

“Aspetta!” tentennò Elizabeth. “Prima voglio controllare. Pasticcio è ancora lì... vero?”

“Si, per fortuna è sempre lì, su quella roccia.  Poverino come piange... lo senti?”

Elizabeth con un movimento brusco disse:

“Rachy, però... lo sai che sono brava in queste cose...”.

“Dai non ci pensare...” rispose l’altra in tono morbido, come per rincuorarla.

“Comunque, sappi che anche se le gambe mi fan male le mie braccia non sono per niente stanche”.

Lizzie la fissò, poi un sorriso forzato le ammorbidì il volto:

“Dovrai tenermi molto stretta, intesi? Guarda che mi sto fidando.”

L’altra le indicò di nuovo la sporgenza e disse:

“Il punto da cui scendere... in teoria, dovrebbe esser quello. È un po’ ripido, stai attenta. In ogni caso, ti tengo stretta, ok?”

L’altra prese a sfregarsi gli occhi. Sbirciò di nuovo in basso, quindi spostò le gambe un po’ più avanti, allungandole come un animaletto impaurito a cui è stato tolto il guscio. Rachel intanto, se ne stava a pancia in giù contro la roccia, le dista strette e salde sulla mano della sua amica.

All’improvviso una scossa le fece sobbalzare il petto. Aveva ripensato alle sue braccia e al fatto di aver detto alla sua amica che non le facevan male. E naturalmente, sapeva che non era vero. I polsi, già da un po’, avevano cominciato a pruderle con insistenza e come se non bastasse, erano rossi e gonfi, perciò, qualunque gesto o movimento sbagliato, sarebbe costato caro a entrambe. Eppure, qualcosa di tenace in lei le diceva di non doversi arrendere.

Tutt’un tratto, un brivido la scosse quando si rese conto che Lizzie stava scivolando in basso. La strinse con più forza e si agitò invitandola alla calma mentre sprofondava:

“Attenta... fai piano, un po’ più a destra... non mollarmi, però! Così va bene...”

Con vocina ansante, Rachel aveva iniziato a comandarla e a tirarle il braccio. Lizzie, nel frattempo, continuava a spostarsi in modo brusco, procedendo a scatti:

“Rachy, ci sei? Non è che mi stai mollando, vero? Sai che non...”

“Diamine, fai piano!” l’ammonì Rachel, interrompendola. “Devi stare ferma... mi spieghi come faccio a trattenerti se non stai calma?”.

La sua presa, per il momento, resisteva ancora, ma tra uno strattone e l’altro, era già stata costretta ad allungarsi e nel sentirsi costantemente sotto sforzo provò terrore. Quando infine si assestò, si ritrovò tutta protesa verso il basso, il bacino ricurvo e il busto leggermente ciondolante verso la sporgenza. A un certo punto, vide Pasticcio scattar di colpo su due zampe, grattare con gli artigli la parete allungandosi col muso verso Lizzie, miagolando appena.

L’altra diede uno strattone alla sua amica, che subito provò una scossa e, nel vederla sbatacchiare il grosso ramo, le lanciò una smorfia:

“Ma che fai? Aspetta!” Sei ancora troppo in alto... devi andare giù, lì, su quell’altra pietra...”

“Questo affare pesa troppo...” si lamentò Elizabeth. “Uff... non riesco a posizionarlo bene!”.

Rachel provò a spronarla:

“Devi concentrarti! Ci sei quasi... allungati col piede su quel gradino, sbrigati!”

Lizzie si girò verso di lei e subito una maschera di terrore le calò sul volto. Rachel la fissò per un momento, trattenendo il fiato:

“Che cosa c’è?”

Le sopracciglia di Elizabeth si piegarono in due tenebrose curve:

“Mi è sembrato di avere visto qualche cosa... u-un coso che si muoveva lentamente... laggiù in fondo, sotto quelle rocce...”

Rachel spalancò la bocca e per la paura fece come uno strano scatto. Per un attimo avrebbe voluto aiutare Lizzie a risalire indietro, ma adesso la paura era aumentata e sapeva che se l’avesse aiutata a tornare su, gli sforzi che aveva affrontato fino adesso sarebbero risultati vani.

“Dov’è? Io non vedo niente...” balbettò confusa.

Lizzie abbassò il ramo e lo puntò su un ampio squarcio cavernoso lungo il fondale:

“L-là dentro, credo...” disse con voce sempre più colma di terrore, riprendendo fiato.

“Comunque Rachy, non ci riesco... dai, voglio salire, aiutami!”

“Aspetta, ci sei quasi!” la incalzò Rachel stringendola con forza attorno al polso e stringendo i denti. Poi un tonfo al petto la costrinse a trattenere il fiato:

“Avanti, solo un piede... solo uno, coraggio!”

“Non ci riesco... non ci riesco... ho paura, non ce la fa..!”

“Il piede! Metti in avanti il piede!!”

Lizzie guardò giù e di nuovo si voltò verso l’amica. Il volto grondante di sudore, gli occhietti scossi.

“Non riesco a stare ferma, tirami!”

“Si che ci riesci!” insisté Rachel, spronandola e gridando a tutto fiato, come se la stesse implorando. “Lo sai che ci puoi riuscire... guarda!”

Quando Lizzie si girò, trovò Pasticcio che si agitava su due zampe, le anteriori proiettate verso l’alto, cercando appiglio. Lizzie lo fissò accigliandosi, e una scossa la investì costringendola ad abbassarsi con il piede contro la pendenza. Lo fece affondare un po’, piegandolo e sfregandolo sul masso, procedendo a scatti. Di colpo però, si sentii protrudere e cadere in mezzo al vuoto, come nel peggiore incubo. Poi in un lampo, una forza la trattenne e la costringe a rigirarsi indietro. Non stava precipitando. Le mani che la stringevano sul polso erano ancora lì attaccate a lei per trattenerla evitando che si facesse male.

“Lizzie il ramo!”

Lizzie sentì un brivido e nello stesso istante le mancò il respiro. Per un istante, vide il proprio piede tremolante sopra la sporgenza. Pasticcio era lì, poco più sotto, impegnato a graffiare con le zampe contro la parete. Rapidamente, lei trasse indietro il ramo e lo abbassò allungandolo di scatto nel punto che Rachel le aveva detto. Subito Pasticcio vi si incollò con gli occhi, dopodiché lei, scuotendolo, lo incitò ad aggrapparsi.

Il gatto emise un sibilo, ritirò la testolina tra le spalle e con un balzo vi si gettò sopra. Poi una scossa improvvisa, quasi incontrollabile, piombò su Lizzie facendole dondolare il braccio. Un urlo di spavento le scappò di bocca, il crepitio delle scarpette tutte sporche, sulla pietra instabile.

“Sollevalo! Sollevalo!” le urlò Rachel senza ormai più fiato.

“Non riesco... è troppo grande e pesante e non...”

Poi un grido tornò a elettrizzare l’aria. La sua mano destra pareva scivolarle via.

Rachel serrò le spalle e con uno strattone sollevò Lizzie trascinandola con tutta la forza che poteva per riportarla in cima. Quella sgambettò, picchiando ripetutamente con le scarpe contro la sporgenza, il braccio vacillante e ormai allo stremo, attaccato al ramo.

Lizzie era salita di un pezzetto, adesso, ma non così abbastanza da lanciarsi per ritornare in cima. Mentre si forzava, Rachel fece una smorfia e serrò le labbra. Gettò ancor più giù lo sguardo e vide che al di là del ramo c’era un leggero squarcio, un punto in cui una radice molto spessa vi spuntava dentro.

“Lizzie, quel un buco alla tua sinistra!” disse con voce strozzata,  “Provaci, fai presto!”

Quella mugugnò qualcosa, poi, torcendo il braccio, sbirciò il breve tratto di parete alla sua sinistra. Non appena trovò il buco, piegò affannosamente il busto e con un grido, vi si fiondò col ramo. Per un attimo, Pasticcio provò a assestarsi, poi un altro scossone lo costrinse a ritrovare equilibrio per non cadere. Quindi si rannicchiò emettendo un sibilo, e con un balzo fulmineo si avvinghiò alla parete zompettando e graffiando con gli artigli contro la radice.

“Iiih!” Un sussulto rubò a Elizabeth il respiro per un istante. Con sorprendente slancio, il felino era riuscito aggrapparsi alla radice e risalire in cima. Nello stesso istante, Lizzie s’era aggrappata alla sua amica e aveva lasciato il ramo.

“Dannazione, quanto pesi!” protestò quest’ultima.

“C’è riuscito! C’è riuscito!” scalpitò Elizabeth premendo le scarpette sulla roccia con Rachel sopra.  Questa strisciò indietro i piedi e continuò a tirare. Quindi mollò la presa e ruzzolò accartocciandosi per terra come una foglia morta, col dolore che lentamente si smorzava e con Lizzie accanto.


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