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Pearlchild I - Cap 4.1 "Labirinto"

  • Immagine del redattore: mizar106
    mizar106
  • 10 ago 2023
  • Tempo di lettura: 12 min

A Bauberville, lungo la polverosa stradina per Saint Clement, una chiassosa camionetta di almeno una quindicina d’anni procedeva sollevando nubi color ruggine dal retrotreno. Era una piacevole mattina e il cielo era fresco e azzurro, col sole che irraggiava la campagna, svanendo di colpo tra le nubi come una macchia liquida. Alcune miglia un po’ più in là, sulla stessa strada, un fischio lamentoso si levò filtrando come un essere lagnoso dentro l’abitacolo.

“Lizzie, questo rumore... lo stai sentendo? Secondo te, di che si tratta?” domandò Rachel spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Rumore? Io qui sento solo puzza!” disse Elizabeth. “Anche a Pasticcio da fastidio, guarda...”. Chinò la testa sul felino, stringendolo abilmente tra le cosce per tenerlo calmo:

“Non fa altro che lagnarsi tutto il tempo... e quest’odore... bleargh... è insopportabile! Non è vero pasticcino?”. Il gatto la fissò e dopo un attimo lanciò un lamento. Lei lo sollevò, se lo strinse tra le braccia e non contenta, si mise a strapazzarlo per le zampe e lo sfregò sul muso: “Su-su-su... da bravo! Devi stare buono ho detto...”.

Poi una voce secca le fermò:

“Diavolo, la cinghia!” borbottò zio Arthur. “Ah... quel diamine di cinghia, prima o poi, mi farà impazzire”.

Le ragazzine lo guardarono smarrite. Lizzie domandò:

“Vuoi che ci fermiamo?”

Zio Arthur esitò pensoso. Quindi si grattò la barba e con il palmo prese a massaggiarsi il collo.

“Naah, non preoccuparti... ci do un occhio quando torno e poi, ormai vado di fretta e non c’è più tempo.”

All’improvviso la sua voce cambiò di tono. “A proposito... l’indirizzo della biblioteca di cui parli, te lo sei segnata?”

Lizzie annuì:

“Ah-a. Ecco, ce l’ho nella borsetta, aspetta...”

L’uomo le allungò il braccio con la mano aperta. Lizzie si voltò verso l’amica, le lanciò un sorriso astuto e tornando dritta, si fece di nuovo seria:

“Comunque, non devi affatto preoccuparti zio...” disse con aria affabile. “Non serve che ci accompagni fin laggiù. Tanto quella strada la conosco, è nella zona vecchia a sud, dove comincia il bosco. Lì le strade sono strette e ci si arriva a piedi”.

Zio Arthur intanto rimise l’altra mano sul volante e le lanciò un’occhiata. Poi Rachel s’intromise e disse:

“Beh potremmo scendere all’incrocio. Non c’è mica un grosso incrocio da quelle parti? Eh, Lizzie?”.

“Si, brava, buona idea!” disse Elizabeth, voltandosi di scatto verso Rachel con entusiasmo.

“Prenditi tutto il tempo che ti serve, zio. Per il guasto intendo... e ah, naturalmente, per riparar la ciglia. Tanto la biblioteca è così grande che ci prenderà del tempo, in ogni caso, abbiamo anche alcuni testi da cercare perciò...”. Quindi Rachel la interruppe con un sorrisino:

“Lizzie, che cos’è una ciglia!?”

L’altra si voltò con uno scatto e disse:

“Come sarebbe a dire? Non sai cos’è una ciglia? Non ci credo!”

"No che non lo so, è una parola che non ho mai sentito”.

“Rachy avanti, quella cosa che s’avvolge sul motore e...”

“Per diamine!” La ruvida risata di zio Arthur la troncò di colpo:

“Sei proprio identica a tua madre, sai?”

“Al suo gatto, vorrà dire...” lo corresse Rachel, sporgendosi in avanti con un sorrisino. Lizzie guardò il micio e protestò:

“Hey, non stargli così vicina... non vedi che non respira?”

“Ma lo lasci in pace?” protestò l’altra. “Per forza a star davanti non respira, lo stai strozzando.”

“Ma qui sotto non c’è posto e poi...”

"Ehi hei signorine, un po’ di calma per favore...” tuonò zio Arthur. “Cercate di comportarvi come si deve, se volete scendere.”

Prese a rallentare leggermente e con il dito indicò un cartello:

“Pracklewood...” disse, quasi bruscamente “Se la mia memoria non m’inganna, dovrebbe esserci uno slargo un po’ più avanti, subito dopo il semaforo. Se non avete molta strada quasi quasi, potrei mollarvi...”.

Lizzie esitò e lanciò un’occhiata a Rachel. Poi voltandosi, si rimise Pasticcio sulle gambe e disse:

“Ok zietto, affare fatto”. Zio Arthur annuì. Poi Lizzie continuò:

“A ogni modo, sono sicura che per trovare una biblioteca così grande non ci metteremo niente. Non è vero Rachy? Dopotutto, il paese è così piccolo...”. Rachel tentennò, poi, tradendo un’espressione imbarazzata provò a rispondere:

“Ma certo, vuoi scherzare?” disse forzando un sorriso. “Trovarla sarà un gioco da ragazzi e poi... se anche non dovessimo riuscirci, ci basterà chiedere.”

Il volto di zio Arthur si deformò in una risata ma dalla bocca non gli uscì più niente. Seguirono alcuni minuti di silenzio. Da qualche istante, le due ragazzine se ne stavano completamente zitte, contemplando le dolci curve del paesaggio che si ergevano sotto il cielo variopinto e che lentamente, fluttuavano al di là del finestrino in un su e giù di manti gialli e irregolari, interrotti solo qua e là dai bruni tetti delle vecchie corti. Più a est, un pendio di chiome verdi invadeva a mo’ di macchia le colline, frammentando il paesaggio in varie chiazze, come in un mosaico verde.

“Rachy, la foresta...” sussurrò Elizabeth. Con una lieve torsione delle spalle, la ragazzina s’era piegata verso Rachel e stava sorridendo. L’altra annuì e con aria incuriosita s’appiccicò sul vetro.

A un certo punto la camionetta accelerò zigzagando tra la case lungo una strettoia. Quindi s’arrestò sotto un semaforo, attendendo il verde.

“Lizzie, tesoro...” bisbigliò zio Arthur, quasi con imbarazzo “Lo sai quanto mi costa accompagnarvi... tua madre è un po’ difficile. Stamattina per fortuna l’ho convinta, ma ho paura che ben presto cambi idea, vedrai che bella grana che ci aspetta, quando torneremo a casa... ”.

Lizzie lo guardò e subito un sorriso delicato le piegò il faccino:

“Oh, zietto! Si, sei stato proprio bravo!” disse balzandogli affettuosamente sulla spalla per mollargli un bacio. “Zietto bravo e buono! Quando torneremo a casa, ti farò un regalo!”.

“Ehi-ehi calma...” replicò zio Arthur con difficoltà. “Promettimi che farete a modo e che non vi allontanerete dalla biblioteca per nessun motivo, intesi? E siate puntuali, mi raccomando... non voglio altri casini per quest’oggi, e poi, di litigare un’altra volta con tua madre non ho più voglia.”

“Cosa vuoi scherzare? E poi, zietto, con tutti i compiti che abbiamo, da là chi si muove più... tranquillo, ci troverai più puntuali di un soldato, te lo garantisco”.

Il veicolo intanto era appena arrivato alla piazzetta e s’era messo in sosta. Le ragazzine si scambiarono un’occhiata e in un attimo furono pronte a scendere. Con un cenno, salutarono zio Arthur e si allontanarono.

“Ok, avanti... dimmi di che si tratta.” chiese Rachel dopo qualche istante. Le labbra di Elizabeth si deformarono in un ghigno vago:

“Parli del nostro piano? Dai, dillo, sono un genio... se non gli avessi raccontato quella storia, probabilmente a quest’ora, neanche saremmo qui... non è grandioso?”.

Rachel la smorzò:

“No, aspetta, che hai capito... intendevo quella.” disse indicandole la borsa in vimini che aveva in spalla.

“Oh, qui dentro?” chiese Lizzie, quasi con sufficienza “Già.. scusa se non ti ho detto ancora niente ma... ci avevo messo sopra un panno e... per evitare che zio Arthur la notasse, sono rimasta zitta.”

“Aspetta, che vuoi dire?”

Il volto di Lizzie s’illuminò:

“Beh ecco... ho deciso di portare dei Taringi per i nostri amici.” “Non troppi a dire il vero... ma secondo me per un Kobara basteranno, non credo che ce ne serviranno altri”.

Rachel la fissò con aria incredula, poi chiese:

“Cos’è un Taringi?!”

“Beh, si tratta di un’espressione un po’ antiquata... e da quello che ho capito, è una parola che i cantastorie di una volta utilizzavano per indicare vari tipi di regali fatti alle divinità. Nel nostro caso, ad esempio, ne abbiamo bisogno per convincere gli spiriti a lasciare l’albero. Come ti dicevo, i Kobara sono esseri pacifici ma degli umani non si fidan molto... puoi anche pregarli quanto vuoi ma se con te non hai un Taringi non puoi farci niente”.

“Per esempio?”

Lizzie fece spallucce e disse:

“Bè, può essere qualunque cosa, in realtà. Cibo, fiori, soprammobili... persino oggetti vecchi o cianfrusaglie, se ti fan comodo. Puoi portargli un po’ di tutto, a dire il vero. I Kobara non sono affatto schizzinosi, sai? Ah comunque, sempre a proposito di doni, ieri sera, sono andata di nascosto dentro l’orto e ho fatto scorta.” Sorridendo fiera, diede qualche pacca sulla borsa e se la strinse addosso.

Rachel fece con un sorrisino e chiese:

"E cos’hai preso?”

“Fragole, principalmente. E poi, uh, vediamo... ah, della mollica di pane fatto in casa, il vasetto di mostarda di mio nonno ed uno specchietto in bronzo. Si, insomma, come vedi c’è parecchia scelta”. Rachel fece un’espressione interessata e le si strinse al braccio:

“Ma questi spiriti, di solito... sono così affamati?”.

L’altra la guardò confusa, spalancando gi occhi:

“Cosa? Ma che dici? Guarda che gli spiriti non mangiano... anzi, nel momento in cui il Taringi viene offerto, l’oggetto perde ogni significato materiale e diventa un idolo, quasi come in una specie di testamento.”.

Quindi ci fu una pausa e quando Lizzie proseguì di colpo la sua voce divenne calma:

“Di solito l’offerta viene fatta appendendo qualche dono sopra il ramo tramite una cordicella e.... Oh! Che carino, accidenti! Quasi non vedo l’ora. Certo, senza tutto quello spago nella borsa a quest’ora...”

“Lizzie, guarda lì!”, D’un tratto, Rachel la bloccò indicandole l’imbocco di una strada con un’insegna. Lizzie si girò da quella parte e assieme ci si avvicinarono.

“Grande Foresta, settecento metri”. “Stando a quanto riportato dal cartello la direzione è questa. Lizzie, sei convinta? Questo posto sarà anche bello e interessante ma probabilmente è per gente esperta... sul serio, promettimi che non ci allontaneremo.”

Elizabeth fece spallucce e incrociò le braccia:

“Papà mi dice sempre che è sicuro perché a parte certe zone un po’ nascoste i percorsi sono indicati bene. E comunque te l’ho detto, non ci serve chissà cosa... ci basterà solo qualche albero un po’ grande, poi i nostri Taringi faranno il resto, non è vero pasticcino?”. E così dicendo, raggiunse il felino con un balzo e conficcandogli le dita in mezzo al pelo lo grattò sui fianchi.

Rachel alzò di poco la stampella e la sfregò contro il bordo del marciapiede vicino al palo.

Lizzie nel frattempo studiò l’insegna, il volto elettrizzato dalla gioia, come una caccia a premi. Quindi si chinò, guardò dentro la borsa e non appena Pasticcio le fuggì lei fece uno scatto e lo rincorse fino a riacciuffarlo.

“Hai visto? A pasticcino questa strada piace” disse trattenendo a stento una risatina “E’ sempre così curioso... di qualunque posto si tratti, riesce sempre a divertirsi più degli altri, è incorreggibile.”

E di nuovo se lo mise tra le braccia e gli grattò le orecchie.

Rachel la guardò preoccupata ma non disse niente.

Per alcuni istanti, proseguirono tenendosi per mano con Lizzie che parlava di suo zio e del piano per svignarsela nel bosco senza destar sospetti, della collezione di mostarde di suo nonno e dei Kobara innocui. Dopo un paio di minuti, superate alcune casupole malmesse, il fondo pietroso della strada spariva immergendosi di colpo nel terreno bruno, e da lì in poi, procedeva dolcemente verso il basso come una discesa. Poi, proseguendo in fondo, si arrivava a dei gradini un po’ sconnessi, che scendevano a zig-zag tra le casette verso un’area incolta. E infine, nel punto in cui la scalinata si fermava cominciava il bosco; una distesa di grosse querce secolari dall’aspetto antico, alcune frastagliate, altre dalla forma un po’ schiacciata e con il tronco dritto. Proprio in quel momento, s’accorsero che in radura lì vicino, c’era un cartello con un disegno.

“Guarda! Quell’insegna là giù in fondo ha una cartina, chissà che dice...” esclamò Elizabeth aumentando di colpo il passo con entusiasmo. Rachel intanto riprese fiato:

“Lizzie sarà meglio che mi tieni stretta, altrimenti cado.”

L’altra si voltò bloccandosi, poi con un leggero colpetto della spalla si risistemò la borsa. Rachel continuò:

“Ti va bene, vero?”

“Cosa! Vuoi scherzare? Certo che si.” disse Elizabeth. Poi l’amica le andò incontro e tenendola col braccio la aiutò a sorreggersi.

“Guarda dove metti i piedi però... qui i gradini sembran rotti per cui meglio se andiamo piano.”.

Con occhi pieni di speranza, si scambiarono uno sguardo e scesero a braccetto con prudenza, stando attente ai piedi. Non appena raggiunsero il cartello però, dovettero ricredersi immediatamente. Sul pannello infatti, non era stata riportata alcuna mappa, ma solo qualche breve spiegazione, accompagnata dal disegno di alcune specie di animali e di qualche pianta.

“Ok come non detto.” sospirò Elizabeth. “Ma dovrà pur esserci una freccia da qualche parte, no? Uh, sembra troppo strano...”.

Rachel si voltò verso l’amica e tirò un sospiro:

“Lizzie, avevi detto che era pieno di cartelli o sbaglio? A me sembra l’esatto opposto...”

“Te l’ho detto, è stato papà dirmelo. Quando gli chiesto quelle cose sui sentieri mi ha spiega...”

“Lizzie, il gatto!” Rachel sobbalzò indicandole un punto imprecisato con il braccio alzato. Lizzie gettò in là lo sguardo, e accorgendosi che Pasticcio era fuggito provò a chiamarlo. Quindi le si staccò dal braccio e si precipitò a riprenderlo.

Lo rincorse a perdifiato, trottando da una parte e poi dall’altra fino a riacciuffarlo. Rachel, che nel frattempo era rimasta sola qualche secondo, tirò un sospiro e provò a raggiungerla.

Per qualche istante, l’eco della voce di Lizzie risuonò tra gli alberi:

“Rachy aspetta, vengo a prenderti!”.

Rachel asserì e con un gesto le gridò qualcosa.

Non appena Lizzie tornò indietro, Rachel la fissò dritto negli occhi e in quell’istante un’inconfondibile certezza prese a ronzarle in testa. Da quel punto in poi, nessuna avrebbe fatto un altro passo senza che ci fosse l’altra. Perché per la prima volta, entrambe, si accorsero d’esser pronte per quel mondo e la fortuna di condividerne ogni pezzo lo rendeva magico.

Poi Rachel, avvicinandosi al felino spezzò il silenzio:

“Sul serio, solo per oggi... non potevi lasciarlo a casa?”

“Lo sai che è un bel problema...” si difese Elizabeth “Pasticcio, di giorno è sempre sveglio e non sta mai fermo. Nuvola al contrario, non fa altro che snobbarlo tutto il tempo e perciò quando lui sta in casa di solito s’annoia a morte.”

Rachel fece una smorfia e guardò Lizzie chinarsi verso terra per allentar la presa. Per qualche istante, studiarono attentamente i due percorsi scambiandosi commenti e osservazioni su che strada prendere. La prima, più luminosa e larga, reclinava in un tortuoso saliscendi salvo poi appiattirsi. L’altra, più tortuosa e angusta, proseguiva con una piccola salita fiancheggiante un fosso. Puntarono sulla prima in quanto a prima vista doveva trattarsi di una soluzione agevole, per Lizzie, tuttavia, la motivazione principale della scelta era dovuta al gatto. Come già aveva spiegato, ruscelli e fossi di ogni tipo erano infatti diventati da tempo il suo chiodo fisso, e se solo avesse scovato qualche preda si sarebbe incaponito così tanto che per acciuffarlo dovevano esser pronte a tutto.

Procedettero tenendosi per mano ad ogni sporgenza o buca, gli occhi attenti e concentrati sul sentiero, come per seguire un’orma. Dopo appena qualche minuto, s’accorsero che il sentiero scompariva verso una pendenza. E nel punto in cui la salita cominciava, i tronchi s’erano fatti più ritorti e sbiechi, coi rami che si contorcevano nel cielo come mostri dai tentacoli avvizziti trasformati in statue. Dal lato opposto del sentiero, il bosco saliva su un declivio con dei sassi e dall’aspetto impervio, e la cui cima, rivelava un breve tratto di radura con dei massi a punta, mentre più in basso, la selva era invasa dagli arbusti e piante rampicanti di ogni forma avvinghiate ai massi.

Proseguirono per parecchi metri, spezzando di tanto in tanto il passo per scansarsi dalle pietre che sbucavano appuntite sotto i loro piedi. E man a mano che avanzavano, si sentivano sprofondare nella quiete, il silenzio della foresta tutt’attorno, scandito dal crepitio di qualche ramo o da un soffio d’aria.

“Lizzie ci fermiamo?” domandò Rachel di colpo.

L’altra all’inizio tentennò, facendo finta di non sentire. Rachel proseguì:

“Dico seriamente. Io... sento che stiamo correndo un rischio.”

Poi Elizabeth protestò:

“Eeh, ma che stai dicendo? È ancora troppo presto e poi... dobbiam trovare qualche albero più vecchio, secondo me. E poi te l’ho già detto, no? Che Kobara hanno bisogno di adattarsi, e se il tronco non è vecchio a sufficienza, poi, è probabile che non si sentano al sicuro, perciò quand’è così, spesso, preferiscono nascondersi e magari scappano.”

“Ti sto solo ricordando che è rischioso e che non dobbiamo perderci. Insomma, siamo vagando da mezz’ora dentro un bosco e per giunta non c’è nessuno... hai presente che significa?”

Lizzie la fissò con disappunto senza mai rispondere.

“Fermiamoci ti ho detto.” la implorò Rachel. “Senti... ma un albero di questi non va bene? Non vedi come sono grandi?”

A quel punto Lizzie si fermò e si girò con aria assorta guardando in alto:

“Mmh... non son sicura che quel rito vada bene. Il Taringi intendo... Si, insomma, stando a quello che riportano nei libri, sembra proprio che per compiere l’offerta serva la pianta giusta, querce e grossi fusti secolari, tanto per capirci. Ma questi a dire il vero, mi sembrano alberi normalissimi. Non possiamo accontentarci... sono sicura che se provassimo ad appendere il Taringi non funzionerebbe. E poi... ancora non abbiam trovato una piantina, ricordi? Vedrai che ci aiuterà a rintracciar gli spiriti.”.

Rachel la fissò con un’aria afflitta, sospirando appena.

“Credimi, dev’esser così per forza” aggiunse Elizabeth “Voglio dire... ti immagini a quest’ora quanta gente si sarebbe persa da queste parti? Eppure non ci è successo niente. Papino ad esempio, conosce un sacco di persone perché viaggia per lavoro ma di gente che s’è persa dentro un bosco non ne sa proprio niente!”.

Lì per lì, Rachel si guardò in giro come per assicurarsi che non ci fossa nulla di pericoloso. Poi, presa da un senso di pentimento, prese a strattonarsi una bretella sollevandola col pollice in avanti con insofferenza. Infine trasse indietro il braccio:

“Ok, però, senti... ti dispiace accompagnarmi? Ho piegato male il piede e mi fa un po’ male”.

Lizzie le restituì un sorriso e di nuovo fece per afferrarle il braccio.

Quindi proseguirono a braccetto, camminando lentamente a passo lento e con Pasticcio accanto. Dopo appena una decina di minuti, raggiunsero una piccola salita terminante con un sentiero. E una volta arrivate su, si accorsero che la vegetazione tutt’intorno non era più la stessa. Macchioline bianche e viola puntellavano il terreno come un fiotto di coriandoli caduti a terra, mentre più a destra, spuntava tra gli arbusti una targhetta sulla quale erano stati incisi dei nomi con delle indicazioni. La prima era rivolta verso sinistra e indicava un fiume, la seconda, rivolta a destra, riportava la parola ‘denti’ con a fianco una scia di graffi così fitti da non riuscire a leggere.

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