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Pearlchild I - Cap 3 "Uscita"

  • Immagine del redattore: mizar106
    mizar106
  • 11 giu 2023
  • Tempo di lettura: 10 min

Aggiornamento: 12 giu 2023



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(Nel disegno: Matias Bhelmet in sella alla sua inseparabile biclicetta,

sulla strada per ritornare a casa. Copic markers, Settembre 2018)




In un lampo, l’insegnante batté il gessetto facendolo schioccare sopra il tavolo in un suono acuto. Alzò lo sguardò verso l’aula, si rinfilò le mani in tasca e passando dall’altra parte della cattedra guardò gli allievi.
“Allora, chi sa dirmelo?” domandò.
Di colpo, due ragazzi in seconda fila s’agitarono raddrizzandosi sul banco con aria incerta. Seguirono alcuni secondi di silenzio, il ticchettio di qualche penna, il fruscio delle pagine dei libri e dei quaderni aperti.
In una manciata di secondi, gli occhi del professor Felton avevano scandagliato l’aula. Un volto imbarazzato sbirciò furtivamente la lavagna salvo poi abbassarsi. L’uomo avanzò di qualche passo e picchiò i piedi a terra, bloccandosi a metà strada tra la cattedra e la prima fila. Prese a sfregarsi il collo studiando quelle timide espressioni con aria astuta. S’infilò le dita in tasca e, non appena le agitò, un sottile tintinnio metallico prese a frusciare in aula.
All’improvviso uno studente sollevò la mano. Lui gli fece un cenno e lo indicò col braccio:
“Whilbrul?”.
Subito un ragazzone balzò in piedi e si mise a urlare:
“Ottocentomila-miglia professore!”
Una lunga risata collettiva esplose in classe. Il professore aggrottò la fronte:
“Molto divertente, Whilbrul...” ribatté. “Perché non ce lo mostri? Potresti andare a misurare di persona, se te la senti...”
La risata si smorzò ma non si spense. A un tratto la voce del maestro si fece più incalzante:
“In realtà...” attaccò, battendo le mani due-tre volte per richiamare l’ordine, “Al momento... le informazioni sullo spessore del mantello sono parecchio incerte. Tuttavia, è lo strato più voluminoso della terra, e così come la crosta, presenta delle proprietà chimiche complesse ed estremamente varie”. Finalmente il chiasso si appiattì e nell’aula tornò la calma. L’insegnante proseguì:
“Un primo strato ben più solido, a diretto contatto con la crosta, il mantello litosferico, ed uno più dinamico e viscoso, il mantello inferiore, che diventa via via sempre più caldo man mano che scendiamo verso il centro e ci avviciniamo al nucleo. Come vi ho spiegato però, la profondità dei due mantelli messi assieme non è precisa. Stando alle migliori stime, potrebbe essere compresa tra le mille e le mille-cinquecento miglia. Secondo alcuni esperti, si tratta tuttavia di una misurazione errata, che non considera il magnetismo attorno al nucleo e la sua composizione chimica...”.
All’improvviso, un ragazzo con due spessi occhiali tondi si fece avanti:
“Mi scusi professore, nei nostri testi è riportato mille miglia... quindi, ci sta dicendo che si tratta di un errore, dico bene?”
Il professor Felton asserì:
“Beh potrebbe anche aver ragione... sulla questione dello spessore del mantello, in realtà, sono in corso delle ricerche in tutto il mondo e inoltre...”. All’improvviso, il trillo dell’ultima campana gli troncò la frase. Di nuovo l’insegnante tentennò e cercando di sforzarsi e tagliar corto, alzò il volume:
“Ok, a ogni modo... ne riparleremo giovedì, dopo le interrogazioni. E ricordatevi i capitoli. Quattro, cinque e sette. Mi raccomando, vorrei che li ripassaste molto bene, perciò...”. Non fece in tempo a concludere la frase che il chiasso incalzante degli allievi gli inghiottì la voce. Poi, sperando che qualcuno lo ascoltasse, provò a ripetersi.
Poi finalmente, un pacifico silenzio prese a colmare l’aula. Gli allievi se n’erano praticamente andati. Già, praticamente. Perché poco più in là, accanto alla finestra, il giovane Matias Bhelmet, da sempre tra i migliori della classe, se ne stava ancora al banco e fissava i propri appunti accatastando un libro sopra l’altro con senza alcuna fretta.
Il professor Felton esitò. Rapidamente, chiuse la cerniera della borsa e serrò indietro i ganci. Afferrò il registro e poi la penna, scribacchiando qualche firma in corrispondenza degli spazi con gli orari d’inizio e fine della lezione, rimise la sua penna nel taschino e sistemò il gessetto. Quindi gli rivolse un sorriso e girandosi di spalle arrivò alla porta, ma proprio mentre stava per uscire il ragazzo disse:
“Professore...”
“Si?”
Matias se ne stava ancora fermo dietro il banco con aria assorta, lo sguardo rabbuiato, lo zaino in spalla:
“Avrei bisogno di parlarle, se non le spiace” disse timidamente. “Riguardo quel che ha detto l’altro giorno, io...”
Il professore lo squadrò severamente, quasi con aria fredda, ma con quel solito silenzio compassato che lo contraddistingueva sempre:
“Certamente Bhelmet, ti sto ascoltando.”
Matias rialzò la testa e sospirò:
“Vede, in questi giorni...” cominciò, quasi con imbarazzo “Mi son trovato a ripensare a quel che ha detto, e ai suoi consigli...”
Felton lo fissò e con un movimento impercettibile del collo provò a annuire:
“Beh, mi fa piacere. E dimmi allora, la domanda che ti ho fatto l’altro giorno? Hai già pensato alla risposta?”
Matias esitò e rivolgendogli un’occhiata un po’ perplessa aggrottò la fronte. Le sue labbra si contorsero un istante, ma dalla bocca non uscì alcun suono. Quindi finalmente disse:
“Forse. Ma può darsi abbia bisogno di tempo, a parte questo...”
“Oh ma certo” disse l’uomo, quasi sorridendo. “Prenditi tutto il tempo che ti serve. Non devi correre.”
Matias, che nel frattempo aveva alzato gli occhi, tirò un sospiro e disse:
“Sa, Pivot Cove, è stato sempre il grande sogno di nostra madre...” di colpo, un sorriso malinconico gli piegò le labbra. “Lei, me ne parlava di continuo, quand’eravamo assieme. Mi raccontava di episodi particolari, di cose che l’avevano colpita. Il giorno della visita nel college ad esempio, o di quando, la mattina del colloquio d’ammissione, decise di non muoversi da casa, rinunciando a tutto. Lo fece per poter stare con mio padre, in realtà. Già... se fosse entrata a Pivot Cove, probabilmente, i miei non si sarebbero sposati e adesso io non sarei qui a parlarvene. Non lo trova strano?”.
Il professore strizzò gli occhi e si levò gli occhiali, strofinandoli su un lembo della giacca con accortezza:
“Dipende dalle circostanze...” osservò. “Dal grado d’importanza delle cose, insomma... da come le abbiam vissute. Non dovresti tormentarti così tanto... personalmente, non ci vedo nulla di anormale e inoltre, prima o poi, tutti dobbiamo affrontare delle scelte. Capisci cosa voglio dire? Devi soltanto imparare ad ascoltarti, e quando ci riuscirai, sarai anche in grado di costruirti la tua strada, qualunque essa sia.”.
“Ma professore...” protestò Matias. “Rinunciare all’occasione che lei ha avuto, e così di colpo... a mia madre dispiacque davvero tanto. Lei fino alla fine, ha vissuto continuamente tra i rimpianti e non se n’è liberata affatto, o almeno, non come avrebbe voluto.”
L’uomo assunse un volto più disteso e s’avvicinò al ragazzo. Esitò qualche secondo e poi rispose:
“Sai, quand’ero piccolo, mio padre me lo ricordava sempre; che nel corso delle esperienze che affrontiamo, non esiste alcuna scelta nella vita che sia giusta o errata...” Un vago e nostalgico sorriso gli piegò la bocca “Ma che ogni scelta è come prendere una carta e girarla a faccia in su per raccontare qualche cosa di noi stessi a chi ci vive accanto.”
“Sai, lui, aveva sempre questa fissa per le carte... qualunque fosse l’argomento, riusciva sempre a infilarle dappertutto, era incredibile.”
Matias lo ricambiò con un sorriso, restando zitto. Quindi avanzò verso la porta, lanciando un breve sguardo verso il banco come per assicurarsi di non aver dimenticato niente.
“Lei però, al mio posto, non ci avrebbe pensato su due volte, non è vero?” domandò quasi preoccupato.
“Si, potrebbe essere. Ma ti avverto Bhelmet, tienilo bene a mente, non serve che tu ti metta a far confronti. Non ne gioveresti in ogni caso e comunque, a prescindere da tutto... non sarebbe giusto...”.
Matias trasse un sospiro e rimase a fissare l’insegnante senza dire niente. Poi il professore continuò:
“Insomma... dovresti smetterla di guardarti sempre intorno... come ti ho detto, impara ad ascoltare quel che senti, piuttosto.”
“Voglio dire, tu hai testa, e sei anche parecchio in gamba. E come allievo, sei senz’altro tra i migliori che abbia avuto. E anche abbastanza grande per capire che la decisione che ti spetta è solo tua non deve dipendere da nessun altro, né da me, né dalle scelte che avrebbe potuto compiere tua madre se fosse stata qui al tuo posto”.
Matias chinò la testa. Subito il professore provò a sorridergli, quindi sbirciò in fretta l’orologio e si aggiustò il colletto. Infine si girò verso la cattedra e riafferrò la borsa:
“Perdonami ma... la direttrice mi stia aspettando nel suo ufficio e...” disse animatamente, come se uno strano inconveniente gli fosse piombato addosso:
“Ti dispiace se continuiamo domattina? Non vorrei far tardi.”.
“No, non si preoccupi” lo rassicurò Matias “Però...”
“Si cos’altro c’è?”
“Riguardo l’altra parte del discorso, c’è solo un’altra cosa, se permette...”
Il Professor Felton si bloccò davanti alla porta, le labbra esitanti e semiaperte, le spalle dritte.
“Per via di mia sorella... naturalmente.”
“Ok, ti ascolto...”
Il volto di Matias cambiò di colpo, le labbra gli tremarono debolmente e negli occhi comparve una strana ombra:
“Dopo tutto questo tempo, i medici... non sono ancora stati in grado di guarirla e...” piegò ancor più la testa verso il basso, quasi come per nascondersi “Nonostante certe volte vada meglio, la sua salute sta pian piano peggiorando e non c’è più tempo.”.
L’insegnante si voltò e all’improvviso fece un’espressione amara. Riguardo la sorella, conosceva già gran parte della storia, il malessere alla pancia e i ricoveri che aveva dovuto sopportare per ritornare a casa. Ma di quel che era accaduto ultimamente, ancora, non ne sapeva nulla.
“Ne ho parlato coi miei zii.” proseguì Matias, le braccia lungo i fianchi, le mani in tasca. “Forse, racimolando un po’ di soldi, potrei convincerli a mollare l’ospedale e portare mia sorella da un’altra parte. Trovare qualche medico più serio, insomma. Qualcuno che la curi seriamente e non continui ad illuderci e mentirci com’è già successo.” Quindi fece una breve pausa.
“Perché è così che è andata. Per tutti questi anni, ci hanno detto che la malattia era curabile e che con l’aiuto di qualche farmaco specifico ne sarebbe uscita, e invece, dopo tutto questo tempo, non è cambiato niente, lei... lei è esattamente come prima e per loro più di così non si può fare, perciò...”
Matias fece una pausa e in un attimo, uno fremito di rabbia gli fece luccicare gli occhi. “Perciò, capisce professore... io... con quelli non mi arrendo. Stando così le cose, farò di tutto per realizzare quel che ho in mente e affronterò i miei zii. Sperando ovviamente che mi ascoltino. Non è semplice convincerli, però, sono sicuro che insistendo un po’ di volte...”
"Quindi ci hai provato...” lo interruppe l’altro. “E allora? Che ti hanno detto?”
Matias fece subito una smorfia e disse:
“Quando ne parlo con zia Wendy, lei continua a dire che l’ospedale che hanno scelto è tra i migliori e anche se volessimo cambiare non ci sono i soldi”. Fece un sorrisino malinconico, quindi proseguì:
“Per quanto loro facciano il possibile, beh... sono un po’ testardi. Comunque professore, le prometto, qualunque cosa accada, farò di tutto per cercare di tornare in tempo per il nuovo anno.”
L’uomo sospirò come per soppesare le parole che Matias gli aveva appena detto:
“Credevo che la cosa fosse stabile...” disse con aria affranta.
“Mi dispiace Bhelmet, sul serio”. Esitò qualche secondo e congiungendo il pollice e l’indice prese ad accarezzarsi i baffi.
“Con la direttrice, hai già parlato?”
Matias fece una smorfia imbarazzata, poi annuì.
“Ha fatto un po’ di storie ma alla fine l’ho scampata liscia. Sa, riuscire a farle capire queste cose non è stato semplice...”.
“Quella è un osso duro, a volte. Persino per noi insegnanti” disse quasi scherzosamente “Ma se pensi che anche lei ti abbia capito devi andar convinto, e inoltre... beh, in certo senso... potrebbe essere un buon modo per comprendersi, non trovi? Assumerti la responsabilità delle tue azioni per difendere a ogni costo le tue scelte e imparare a crescere. E’ così che van le cose, dopotutto. Ad ogni modo... ti ringrazio per avermene parlato, lo apprezzo molto”.
Matias aggrottò la fronte e deglutì, l’agitazione gli impediva di parlare, ma nonostante il sasso in gola, cercò di farsi forza e riprese fiato:
“Professore, vorrei chiederle... se non dovessi tornare in tempo per la scuola, per riuscire a farsi a ammettere a quel college, crede che sarà difficile? Cioè... questo potrebbe essere un problema, non è vero?” domandò impaziente. “La prego, vorrei solo saper cosa pensa, la scongiuro...”.
L’insegnante lo fissò con aria assorta, stringendo gli occhi. Poi fece un sorriso e gli diede un lieve colpetto sulla spalla, quindi disse:
“Penso che sei bravo e che meriteresti di proseguire al Pivot Cove più di chiunque altro. Però, come ti ho detto, si tratta in ogni caso di una scelta. La tua, scelta. Tienilo bene a mente.”
Ci fu un attimo di pausa. Matias nel frattempo, aveva spalancato gli occhi.
“Ora scusami davvero ma devo proprio andare” disse il professore. “Però Matias, c’è un’ultima cosa che vorrei dirti, se mi permetti.”
“Si?.”
“Vorrei che ripensassi a quel che ho detto riguardo mio padre. Ti tornerà utile”.
Matias ebbe un sussulto e per togliersi il sudore dalla fronte passò una mano tra i capelli e infine s’infilò il berretto.
"Farò tesoro dell’insegnamento di suo padre, professore.”
L’uomo gli rivolse un sorriso gentile:
“Beh, non è che devi prenderlo alla lettera. In realtà, non si tratta di un insegnamento vero e proprio. Dopotutto, per affrontare questo genere di cose non c’è una formula. Consideralo come un buon punto di partenza, piuttosto. Alla fine conta solo questo.”
Mentre fissava l’insegnante, Matias sentì il cuore che gli batteva all’impazzata e saltava in gola. All’improvviso, un brivido pungente lo costrinse a deglutire ancora.
L’uomo s’affacciò sul corridoio e varcò la porta, quindi tentennò un’ultima volta e si voltò, quasi sorridendo:
“Ah, e ricordati. Continua a dare ascolto a ciò che senti e non cercare di metterlo in disparte solo inseguire agli altri. Sarebbe un gran peccato.”
Tutt’un tratto, i suoi baffi disegnarono un sorriso e l’insegnante uscì, lasciandosi alle spalle lo studente, solo, con i suoi pensieri.
Dopo qualche istante, Matias si scostò verso la cattedra, quindi alzò lo sguardo e, sorreggendosi con le braccia sopra il tavolo, fissò lo spazio vuoto tra il crocifisso e la mappa geopolitica del mondo, come in una tenebrosa supplica.
La stima e la fiducia di quell’uomo, col tempo, gli avevan dato tutta la forza necessaria per superare la perdita dei genitori durante la guerra. Ma adesso lui stava diventando grande, e, proprio come gli aveva detto il professore doveva imparare a scegliere. Per se stesso e per tutte le persone che aveva intorno, a partire dalla famiglia e in particolar modo, da sua sorella. Decidere la strada da intraprendere al di là del bivio, e oltre a quello, proseguire senza sosta sul sentiero con la consapevolezza di ciò che era disposto a perdere.
Fece un passo indietro e prese fiato, girandosi sulla finestra semiaperta con aria assorta. All’improvviso, s’immaginò di concentrare dentro un pugno tutto ciò che il professore aveva detto, e di stringerlo come un rivolo di sabbia, chiedendosi se qualche granello un po’ prezioso non gli rimanesse intrappolato nella mano quando l’avesse aperta.
Dentro la sua mente, due mondi incompatibili e sottili stavano prendendo forma: da una parte il Pivot Cove, il college più prestigioso d’occidente, il sogno tanto atteso (e mancato) di sua madre quand’era giovane. Dall’altra, la promessa di un bambino, il dovere di proteggerla e inseguirla a qualunque costo.

Tutt’un tratto aprì la destra, la mano che aveva immaginato con la sabbia, e di colpo la richiuse premendo con vigore contro il palmo, formando un pugno. Quindi gettò gli occhi sulla cattedra, e da questa alla lavagna e si voltò, uscendo a passo svelto dalla stanza in direzione della piccola piazzola con le biciclette.
Lungo tutto il corridoio, la fuga chiassosa degli allievi era già passata, riducendosi a qualche flebile rimbombo, come un brusio lontano. Dal portone principale semiaperto, così come dalle finestre, la luce s’irradiava nell’androne proiettando macchie bianche e colorate sugli armadi a muro.
L’estate era arrivata e assieme ad essa, sentiva che qualcosa là di fuori lo stava attirando. All’improvviso, ebbe la certezza che in qualunque direzione fosse andato non sarebbe più potuto tornare indietro. E il richiamo era al di là del bivio.








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2 commenti


MatteoN01
MatteoN01
13 giu 2023

Bello! finalmente viene presentato Matias! Risulta molto scorrevole nella lettura ... (anche se ammetto che c'è qualche cosa nella parte iniziale che non mi convince, ... lo rileggo e ti dico)

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mizar106
mizar106
16 giu 2023
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grazie infinite per il commento!!

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