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Pearlchild I - Cap 2.1 "Gli spiriti della foresta"

  • Immagine del redattore: mizar106
    mizar106
  • 6 feb 2023
  • Tempo di lettura: 14 min



Il seguente anno, Rachel aveva cominciato a stare meglio e a parte qualche piccolo controllo era riuscita ad evitare l’ospedale e a farsi visitare a casa. Adesso però erano passati molti mesi e il disagio e la malinconia che aveva conosciuto eran tornate a bussare alla sua porta e non le davan tregua.

Quella sera, fuori dalla finestra, il giallo del tramonto svaniva nelle tenebre squagliandosi come una livida striscia di vapore sopra l’orizzonte. Sprofondando con tutta quanta la testa contro il cuscino, Rachel chiuse gli occhi e di colpo s’aggrappò a un pensiero. Sentiva che le vite degli uomini e le nuvole dopotutto tra di loro non erano così diverse: le più fragili e leggere erano quasi sempre le prime a svanire, ma arrivate a un certo punto, piccole o grandi che fossero, facevano tutte quante la stessa fine.

Poi la notte passò linda e silenziosa e al chiaror dell’alba, Met e Wendy Rossmann uscirono finalmente puntuali dalla loro camera e con solerzia si prepararono e si vestirono per accompagnare la nipote fino all’ospedale. Guidarono per circa tre ore e mezzo e poi, trascorso il resto della mattinata tra la pediatria e schiere di individui silenziosi che si davano continuamente il cambio, uscirono per un rapido spuntino e infine chiesero di parlar col medico. Dopo circa un paio d’ore, riuscirono a fermare il Dott. Simmons proprio davanti all’ingresso e lui, accennando a certe grane burocratiche gli disse che non era il momento di parlarne e se la diede a gambe.

Quella stessa sera, quasi inspiegabilmente, Rachel era rimasta in pediatria e due giovani infermieri, cogliendo l’agitazione di zia Wendy si erano subito fatti avanti per spiegarle che era tutto sotto controllo e che per tutta la durata dell’esame la piccola s’era comportata bene. Il giorno dopo, un dottore smilzo e alto aveva finalmente ricevuto Wendy e Met dentro l’ambulatorio trattenendoli per quasi un’ora. Quando ebbero finito, Rachel e Matias erano in piedi fuori dalla porta e camminavano mano nella mano distraendosi tra un pensiero e l’altro. A zia Wendy spaventava soprattutto l’idea di dover spiegare a sua nipote la necessità di quella nuova operazione e del fatto che più avanti ne avrebbe dovute affrontare ancora. Zio Met dal canto suo, all’uscita dal colloquio era riuscito restare calmo e fin da subito aveva cercato di convincere la moglie che bisognava sopportare un altro anno e poi sarebbe finito tutto.

Alcune ore più tardi, erano tornati a casa e Rachel, che per tre giorni aveva dormito quasi niente, s’era fatta accompagnare fino in camera e con aria imbronciata s’era messa a letto.

Quando più tardi aprì gli occhi, fuori era buio e di colpo ebbe come l’angosciante sensazione che tutte le ombre della stanza la stessero tenendo d’occhio. Guardò in direzione della finestra e vide con grandissima sorpresa che una tenda era rimasta alzata. Pensò di non averle fatte chiudere perché si sentiva molto fiacca e per la stanchezza non aveva fatto in tempo.

Una pungente sensazione nel frattempo l’era penetrata in testa. Il pensiero del ritorno in ospedale e gli sforzi che ancora avrebbe dovuto sopportare per provare a vivere. Cercando di scacciare quell’assillo, si raddrizzò sopra il cuscino e girandosi su un fianco tese in avanti il braccio. Non appena l’abat-jour fu accesa, afferrò la prima cosa che vedeva e se la mise accanto. Adesso il sonno aveva ceduto il passo e la sua mente, nel tentativo di scacciare tutti gli incubi, s’era messa a correre.

Tra le mani calde e umide stringeva un quadernetto a righe. Era pieno di scarabocchi e note, e su ogni pagina emanava un odore rancido e di legno umido. Pensò che doveva essere per forza uno dei suoi quaderni, di quelli che aveva cominciato a utilizzare quand’era piccola.

Di colpo, un brivido nostalgico fece per attraversarle il petto. Forse era stato merito di Wendy che l’aveva ritrovato casualmente mentre faceva ordine, o di zio Met e della sua abitudine di frugar nel magazzino per liberarlo delle cose malandate e vecchie.

Spinta dalla curiosità, accostò il quadernino sopra il petto si mise a leggere:

"Bauberville, 28 Aprile 1939: Teresa ha vinto la gara dei papaveri della nostra scuola, ma io ne raccolti più di tutti e la maestra mi ha dato un premio". Poi, poco più sotto:

"Bauberville, 10 Maggio 1939. Usignolo non è solo. E’ ferito ma sta bene. Ha bisogno del mio aiuto. Forse domani volerà di nuovo!’.

Vide che le frasi che stava leggendo erano sempre precedute da un luogo e una data ed erano state scritte in corsivo. Avanzò lentamente di una pagina e poi di un’altra, e così via, come per cercare di acchiappare un ricordo che ormai aveva seppellito da qualche parte, ma più andava avanti a leggere più la sensazione che le frasi fossero di qualcun’altro si faceva forte.

Quando arrivò verso la fine, notò che tra le pagine c’era una storiella: Mangiasole e il Re di carta, l’unica vera filastrocca che avesse mai scritto. Subito alla fine del racconto, una scritta a penna rossa seguita da una firma ne tesseva formalmente le lodi, come in un ricamo.

Rachel provò un senso di sorpresa e si mise a leggere.

A rivederla dopo così tanto tempo la trovava straordinariamente fantasiosa e buffa. Parlava di un mondo immaginario popolato da uomini di carta e governato da un re buono (anch’esso di carta) che dovette nascondersi dal sole perché faceva troppo caldo ed il suo popolo stava prendendo fuoco. Dopo aver letto il primo pezzo proseguì di un’altra pagina e un in un lampo l’immagine del giardino della scuola trapassò il quaderno. Con dolcezza, fece scivolare il palmo sopra il foglio e non appena le sue dita si fermarono tirò un sospiro.

La nostalgia è come una madre che ti abbraccia forte, pensò. Dopotutto, se sua madre fosse stata ancora viva, l’avrebbe rappresentata meglio di chiunque altra. Le bastò sprofondare in quel pensiero per lasciarsi accarezzare dai ricordi come se fosse un sogno. Ah, sua madre! Se solo fosse stata ancora lì, quante cose belle avrebbero fatto assieme!

Tutt’un tratto, un brivido la colse alla sprovvista e le tolse il fiato. Il confuso, debole ricordo della sua stretta dolce e calda e della sua pelle liscia come la seta le spremeva il cuore. Nonostante l’avvertisse così forte, le soffici sembianze di quel volto continuavano a scappare dalla sua mente, e alla fine non le restava che un confuso assembramento bianco e rosa di linee incerte.

Fece un lungo respiro soffocato e riprese a leggere. Poi, non riuscendo a prender sonno, sfogliò distrattamente qualche pagina e si girò su un fianco. Dondolando con lo sguardo, si mise a sbirciare qualche frase alla ricerca delle cose più curiose che avesse scritto. Adesso, nella pagina in cui stava, il pezzetto nell’angolo a sinistra aveva attirato la sua attenzione. Pareva essere scritto con passione e dalla data riportata si capiva che Lizzie aveva compiuto gli anni: "Bauberville, 31 Marzo 1938. Oggi pomeriggio Lizzie mi ha presentato la sua nuova amica. Si chiama Sally, è piccina e parla poco. Lizzie dice che è triste perché sua mamma l’ha fatta nascere con la pancia piena di cotone e inoltre a causa dei bottoni sulla testa non ci vede bene. Appena torno a trovarla, proverò a parlarci, così finalmente si sentirà meglio!"

All’improvviso sul suo volto affiorò un sorriso. Lentamente, uno sciame di visioni divertenti prese a ronzarle in testa. Non fece in tempo ad afferrarle che di colpo un rumore secco e violento l’assalì alle spalle.

Sobbalzò tra le coperte e guardò fuori. Col cuore palpitante per lo spavento, deglutì nervosamente due-tre volte e riprese fiato. Qualcosa di piccolo e appuntito aveva appena picchiato contro la finestra. Forse un grosso ramo, staccandosi dal tronco era caduto e a causa di una raffica di vento aveva colpito il tetto, o forse un uccello un po’ svampito era ruzzolato a terra.

Per un istante ebbe l’impulso di scendere dal letto e sbirciare fuori. Ma ormai s’era coricata da mezz’ora ed era parecchio stanca. Attese qualche istante e non appena il suo cuore rallentò si mise a sedere. Quindi chiuse di nuovo gli occhi.

Toc-klakk! In quell’istante una scossa di paura la costrinse a coprirsi ancora. Ancora quel terribile rumore! Pensò tra sé.

Con l’ansia che le ribolliva nello stomaco si fece coraggio e guardò nuovamente attraverso il vetro. Toc... krikk! Lo strano ticchettio tornò a ripetersi una seconda e una terza volta, e alla quarta Rachel fu quasi sul punto di lanciare un urlo, ma dal terrore non riusciva a riprender fiato. Tentò di accovacciarsi e un brivido le scivolò lungo la schiena non appena s’accorse di una strana ombra antropomorfa che si spostava. Fece strisciare le ginocchia sopra il letto e con un movimento lento e cauto si chinò in avanti. Tutt’un tratto, fece un gran respiro e vide con stupore che la sagoma che si agitava sopra il tetto chiedeva aiuto. Coi battiti che le saltavan nello stomaco, si mise a gattoni sopra il letto e restò a guardare. La sagoma notturna aveva assunto le sembianze di una ragazzina. Rachel sgranò gli occhi e con sollievo riprese fiato. Quindi con aria stupefatta spalancò la bocca:

“Lizzie!! Che ci fai lì?!”

Cercando di sporgersi dal letto, strinse per qualche istante i denti per aprire l’anta:

“Si può sapere che combini?” sussultò, sforzandosi di parlare a voce bassa per non far baccano.

“Rachy, resta lì. Ce l’ho quasi fatta!” mormorò l’altra. Poi Elizabeth provò a sorridere. Se ne stava accovacciata sopra il tetto in equilibrio precario, con le ginocchia tra le tegole e le braccia ritte e protese sopra il davanzale.

Lì per lì, Rachel bofonchiò qualcosa, poi un’improvvisa voglia di sorridere la costrinse a smettere. Da qualche parte nel suo cuore s’era appena fatta strada una nuova luce.

Avanzò verso l’amica e appoggiandosi con un braccio contro il muro le allungò la mano. Proprio in quell’istante, capì con la coda dell’occhio che una minuscola sagoma marrone stava scivolando in casa.

“Dai, allungati!” esclamò.

“Aspetta, ce la faccio anche da sola, guarda...”

“Sssh! Ecco, stai già parlando troppo forte... lo sai cosa succede se i miei zii si svegliano... avanti, sbrigati!”

Di colpo un andirivieni di sussurri e sottili sospiri tremolanti prese ad amalgamarsi nella stanza scivolando come un serpente rimbambito lungo le pareti. Poi Lizzie staccò un braccio e allungandosi col busto dondolò in avanti, infine, dopo un primo tentativo andato a vuoto, azzeccò la presa. Quindi dandosi una spinta si gettò all’interno.

Rachel si scostò per farle spazio, ma nella fretta di aiutarla aveva lasciato inavvertitamente le stampelle in un angolino, e per non cadere era stata costretta ad afferrarle in braccio.

“Mi hai fatto prendere uno spavento... si può sapere cosa ti salta in mente?”

L’altra la guardò con un sorriso di conquista e disse:

“Ok, ok, scusami. Io... volevo solo sapere come stavi. In realtà, sarei passata anche un po’ prima, però... sono stata via con mamma tutto il giorno e non ho fatto in tempo. Sai non vedevo l’ora di vederti...”

Rachel la fissò e un secondo dopo il suo sguardo tornò disteso. Poi entrambe si strinsero in un forte abbraccio. La voce della sua inseparabile vicina scricchiolante per l’emozione:

“Mi sei mancata...”

“Anche tu mi sei mancata!”

All’improvviso Rachel si voltò e vedendo Pasticcio sul cuscino provò a scacciarlo. Lizzie s’era aggrappata alle coperte e muovendosi a tentoni verso il gatto lo sgridò con l’indice:

“Ssshh! Pasticcio scendi giù!”.

“Piano, ho detto!” la rimproverò Rachel. “Finirai per svegliare tutti quanti se non la smetti” .

“Lo sai che perde il pelo... t’impuzzerà il cuscino!”.

“Dovevi lasciarlo a casa!”

All’improvviso Rachel fece un movimento brusco e una leggera smorfia di dolore le apparì sul volto.

“Aspetta, resta lì...” Lizzie la prese per un braccio e stando attenta a non schiacciarlo la spostò di lato. Rachel si bloccò e lentamente si risistemò nel letto. Le gambe ben distese, la schiena leggermente inclinata contro la testiera. Pasticcio adesso era per terra e per manifestare il suo dissenso s’era messo a fissare la padrona con occhi attenti. Subito Rachel gli lanciò un’occhiata, quindi si rivolse all’amica:

“Tu sei proprio matta” protestò “Avresti potuto avvertirmi, non ti pare?”.

Lizzie si mise a fissarla pensierosa e chiese:

“Allora, com’è stato? Quell’esame, intendo. Ti hanno fatto male?”

Rachel sussultò:

“Ah, l’esame! Bé, è stato... molto rumoroso. E per niente piacevole, te lo assicuro”.

A quel punto ci fu un attimo di pausa. Subito Lizzie le si sedette accanto e con un gesto sbarazzino si liberò di una vecchia borsa rattoppata che teneva in spalla.

“Dai racconta, son curiosa.”

“Il secondo giorno mi hanno accompagnata in una grossa stanza bianca piena di cartelli e con degli strani adesivi sulla porta che non ho mai visto. Poi gli infermieri mi hanno fatta stendere. Faceva un po’ paura, in realtà...”

“Eh!? Ma che cos’era?”

“Beh, ecco... somigliava molto a un grosso cilindro di metallo con dei cavi attorno. Ricordo che sul retro, i fili che spuntavan dal cilindro eran stati collegati a un armadietto con un pannello bianco. A dire il vero, non si trattava esattamente di un armadio, ma sono sicura che c’erano un sacco di manopole e pulsanti quando l’hanno aperto. Poi, quando mi ci hanno messo dentro ho iniziato a aver paura perché il cunicolo era così buio e stretto...là sotto... c’era un gran frastuono. Ma non era un suono unico. All’inizio pensavo che stessero colpendo la macchina con un martello. Quei rumori erano come... come dei piatti di metallo che sbattevano l’uno contro l’altro sempre più forte, al punto che ho pensato che là dentro stesse per crollare tutto. La parte finale dell’esame invece era più tranquilla, per fortuna non ho sentito niente, comunque, è stato davvero orribile”.

Una maschera di disgusto si materializzò su Elizabeth:

“Che bestie orribili!” esclamò. Poi Rachel proseguì:

“Per tutta la durata dell’esame zia Wendy è rimasta fuori. E mi è davvero dispiaciuto perché avrei tanto voluto che mi restasse accanto. Lei in realtà voleva farlo ma dopo aver insistito col dottore l’infermiere che si occupava dell’esame l’ha cacciata via”.

Lizzie trattenne a stento la rabbia:

“Aah, è vergognoso! Se quei ceffi ti chiamano di nuovo giuro che li denuncio. Comunque, almeno questa cosa ti è servita? Avanti dimmi cosa ti hanno detto...”

Rachel restò immobile e per un attimo il suo sguardo sembrò sgattaiolare dalla parte opposta. Fece uno strano verso con la bocca, simile ad un mugolio svogliato, poi con un breve scatto agitò le gambe. Quando ricominciò a parlare il suo volto era cupo e la voce era triste e scarica:

“Le solite cose.” sussurrò. “Che devo proseguire con le cure e cercare di evitare il più possibile di andare in giro...”.

Lizzie spalancò gli occhi e con brivido di stizza sobbalzò:

“Ancora?! Ma che idiozia! Adesso stanno proprio esagerando sai? Accidenti, io sono sicura che fossi al posto tuo a quest’ora...”

“E anche che dovrò fare un intervento, perciò...”.

Lizzie si bloccò, il tondo viso illuminato scosso dallo spavento:

“Che cosa? U-un’operazione... come sarebbe a dire?”

“Dicono di aver notato nella pancia delle strane macchie. Non ho ancora capito bene di che si tratta, però, quando ho chiesto a zia Wendy di spiegarmi non mi ha detto altro”.

Lizzie deglutì e rimase immobile:

“E se invece si stessero sbagliando? Almeno a questo, ci hai pensato?”.

Rachel la fissò senza dire niente. Da qualche istante si sentiva come ipnotizzata.

“Dicono abbia a che fare con le gambe” attaccò amara. “Io... me lo sentivo, che era colpa delle gambe... oh, accidenti, è sempre tutta colpa di queste gambe orribili!” E di colpo una smorfia di protesta le contrasse il viso.

Lizzie la guardò smarrita e mandò giù un boccone:

“E tu, adesso... come ti senti?”

Rachel piegò indietro le ginocchia e la guardò a sua volta.

“Abbastanza bene, in realtà. Solo qualche dolorino ogni tanto. Ma dipende un po' dai giorni. A volte, quando mi viene il mal di pancia non ho fame, non riesco a farmi venire l’appetito e sono parecchio stanca, però i dottori hanno già detto che una volta che avrò fatto l’intervento, per un po’, passerà tutto...”.

Nell’abbandonarsi a quella frase, una lieve scossa di speranza le piegò le labbra. Lizzie la fissò esitando, fece una risatina silenziosa e con fare sibillino le mostrò la borsa:

“Li dentro, cosa c’è?”

“Tieniti forte Rachy... è roba grossa!”

Dalla sua sacca erano appena spuntati due grossi libri, un foulard finemente ricamato e una piccola trousse di stoffa ricoperta di fiori rossi.

Rachel tirò indietro i piedi e osservò le coperte sempre più sgualcite che si contorcevano sotto il peso delle cose che Lizzie ci aveva messo sopra.

“Lizzie, sei di nuovo andata a rubare nella borsa della maestra! Sei senza cuore.”

“Beh, ho solo preso in prestito qualcosa, poi gliele restituisco”.

Rachel afferrò la trousse di stoffa, tirò indietro la cerniera e subito vi guardò dentro:

“Le hai persino rubato il trucco! Adesso stai proprio esagerando, avresti dovuto perlomeno tener conto che...”

“Allora che ti sembra, non è grazioso?”

Rachel l’assalì con un’occhiataccia:

“Non dovevi farlo! Sono cose strettamente personali e potrebbe esserci rimasta male!”

“Dai, non preoccuparti. Ne avrà come minimo altri cento in altre borse, quella svampita...”

“Non c’entra, devi restituirglielo!”

“Ed è ricca da far schifo”.

“Promettimi che glielo riporterai subito”.

“Oh, come sei tragica...” la canzonò Elizabeth “Volevo solo provarlo qualche volta ho detto, poi... glielo restituisco.”

Poi Lizzie tentennò e ci fu un attimo di pausa. Rachel puntò gli occhi sopra i libri e chiese:

“Quei testi, cosa sono?”.

Lizzie ne afferrò uno e subito un ghigno emozionato la piegò la bocca:

“Ah-a... le storie di cui parlan questi libri sono davvero belle. Sul serio, in tutti questi anni, non ho mai letto nulla di più bizzarro...”. Quindi girò il libro sottosopra per mostrarne l’indice. “Ecco guarda qui” disse tutta entusiasta “Enciclopedia dei miti antichi e altre credenze popolari: ricerche e testimonianze. Te li avrei portati con più calma ma... come ti ho detto, ho letto delle cose un po’ bizzarre e ... si insomma... pensavo che potesse interessarti perciò, se ti fa piacere...”.

“Questo libro sembra antico, chissà Mrs. Bancott dove l’avrà preso...” osservò Rachel studiando attentamente il grosso tomo con circospezione.

“Già, per me resta un mistero...” la interruppe Elizabeth. “E pensare che a lezione non ci ha mai detto niente”.

“Forse fanno parte del programma... hai provato a chiedere a quelli delle altre classi, se li hanno letti?”

“Mmh, ho qualche dubbio”. Poi la voce di Lizzie si ridusse a un sibilo:

“Sai, sono libri un po’ speciali..” bisbigliò, quasi gli stesse rivelando un segreto. “Non credo che Mrs. Bancott li abbia presi per mostrarli in giro, di sicuro vorrà tenerseli per sé, e poi... chissà quanto possono valere, non credo che ne esistano molte copie, sono troppo rari...”.

“Avrebbero dovuto conservarli dentro un museo”.

“Chissà probabilmente...” ancor prima di concludere la frase, Rachel rimase fissa con lo sguardo sopra l’indice e si mise a leggere:

“Popolo dei ghiacci, popolo dei pesci-arcobaleno, protettore delle caverne... che strani titoli... dai nomi sembra quasi che le leggende di cui parlano nel libro siano di un altro mondo... ad ogni modo, adesso Mrs. Bancott sarà su tutte le furie. Sai dovresti smetterla di frugarle nella borsa, la farai ammattire”.

Lizzie aveva afferrato l’altro libro e con un suono lamentoso disse:

“Mmh, potrebbe essere, però... uffaa.. ma dov’è finito?!”.

“Si può sapere cosa cerchi?” Comunque se vai all’indice fai prima”.

“Si ma non si capisce! Le prime pagine del libro son così sporche e rovinate che non si legge niente.”.

Rachel deglutì e con aria preoccupata si voltò per un istante a guardar la porta. Poi Lizzie sussultò:

“Eccolo, trovato! Avanti guarda qui!”

Lizzie le mostrò un titolo in grassetto accompagnato dal simbolo di una quercia e con una cornice attorno. Il titolo introduceva ad una specie di trafiletto.

Rachel lo guardò e per un attimo un vago sorriso interessato le curvò le labbra:

“I Kobara, i sacri protettori dei boschi e delle foreste: tra cronache, aneddoti e testimonianze storiche”.

Quindi strizzò gli occhi immergendosi nel testo dell’articolo con aria assorta:

“Mmm, che strani nomi... mai sentiti nominare” commentò scettica:

“Che cosa sono, elfi?”

“Aspetta, vacci piano!” l’ammonì Elizabeth “Vedi di non fare confusione. Nel titolo nomina i Kobara ma se ci fai caso nel testo non ci sono solo quelli, dovresti continuare a leggere...”

“Sarebbe a dire?”.

Lizzie sospirò e fece un sorrisino:

“Esistono i Bara e i Kobara. C’è una bella differenza tra i due, se leggi alla pagina seguente è spiegato tutto....”

Rachel posò il libro e una smorfia di protesta le contrasse il volto.

“Si può sapere cosa sono? Ancora non me l’hai detto...”.

“Rachy, sono spiriti...”. Lizzie le parlava come se quel dettaglio fosse la cosa più scontata di tutto il libro. “Servono a proteggere le foreste da tutte le cose cattive che ci sono al mondo, ad esempio, impediscono che gli alberi s’ammalino e li difendono dagli uomini malvagi che li accoltellano...”.

“Degli... spiriti protettori? Cioè, come i santi di cui parlano nei testi? I libri sacri intendo.”

“Più o meno, solo che questi sono in carne e ossa”.

Rachel sfregò un dito contro il labbro come se un insetto microscopico le stesse morsicando in bocca:

“Ma se sono in carne e ossa com’è possibile che vengano chiamati spiriti? Gli spiriti sono diversi dagli uomini... mmh c’è qualcosa che non torna, sicura che non si siano inventati tutto?”

Lizzie le strappò il libro dalle mani e passò all’attacco:

“Hei, ma cosa dici? Adesso non mi credi più? Ma se prima mi dicevi c...”

“Ssh! Ti ho detto di parlare piano!”

“Si ok! Ho capito... ho capito... quante storie, parlerò pianissimo”.

Rachel lanciò di nuovo un’occhiata verso la porta e tirò un sospiro. Lizzie la fissò a sua volta, poi, con aria imbarazzata, chinò la testa sopra il libro, fece scivolare l’indice sul bordo e lo colpì col polpastrello due-tre volte senza mai guardarlo:

“Sono circa una trentina di racconti e ti confermo... che a parte alcune storie un po’ bizzarre, tutto il resto è vero.”.

Rachel inarcò le sopracciglia e chiese:

“Cioè... mi stai dicendo che anche tu li hai visti? Ma che razza di...”

“Certo che no!” tagliò corto l’altra “O meglio... non ancora”.

“Comunque in questi libri è documentato tutto, devi credermi. Luoghi, date, persone... ci sono tutte le informazioni che vogliamo, si tratta solo di capire chi le ha scritte e poi...”.

Rachel arricciò il naso e senza il minimo entusiasmo prese il libro che Lizzie stava tenendo in mano. Poi, sfogliandolo, fece scivolare gli occhi su una pagina e infine glielo diede indietro.

“Pensavo volessi leggere qualcosa...” disse Elizabeth con aria delusa.

Rachel le rivolse un’occhiataccia e disse:

“Questi... esseri delle foreste o come li chiamano, solo perché ti sei fissata d’incontrarli non penserai mica di portarmi dentro un bosco per convincermi che sono veri...”.

“Certo che si! E poi... non so se lo sapevi, ma persino i più celebri scienziati, una volta affrontata la questione, hanno cercato di spiegarne l’esistenza ma non ci son riusciti...”.

Rachel incrociò le braccia e in quel momento i suoi occhi si fecero più distesi e dolci. La fase in cui Lizzie fantasticava era la più spassosa.

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2 commenti


MatteoN01
MatteoN01
19 feb 2023

Finalmente riesco a leggere la prima parte del secondo capitolo! 😁

Alcune considerazioni: la storia mi è piaciuta, i personaggi pure... ATTENDO IMPAZIENTE IL SEGUITO!


Ciao M.

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mizar106
mizar106
21 feb 2023
Risposta a

Grazie infinite (anche della pazienza 😆) mi fa piacere!! Presto la parte finale🙂

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